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TROPICAL MALADY
(SUD PRALAD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 maggio 2010
 
di Apichatpong Weerasethakul, con Banlop Lomnoi, Sakda Kaewbuadee, Sirivech Jareonchon (Thailandia, 2004)
 
L'inattesa, e per certi versi clamorosa Palma d'Oro di Cannes assegnata al regista thailandese Apichatpong Weerasethakul potrebbe suggerire ad ogni appassionato di cinema di avvicinarsi ad una poetica tra le più interessanti del cinema d'avanguardia ma non sempre evidente, grazie al film che ha rivelato il cineasta dal nome impronunciabile all'Occidente. Quasi un prologo, mai uscito sui nostri schermi ma reperibile in DVD, e forse più riuscito, in attesa dell'uscita di ONCLE BOONME.

Spezzato in due, sconcertante, forse incompiuto e non totalmente posseduto per essere definito capolavoro TROPICAL MALADY è un film stupefacente. Non tanto per la sua prima parte, "soltanto" cronaca quasi documentaristica, giocosa e affettuosa, dell'amore gay dell'intraprendente soldato Keng per il semplice contadino Tong sullo sfondo brulicante della città come su quello della campagna ancora intatta. Di un naturalismo spensierato, a tratti onirico, che ricorda quello del film rivelazione del regista tailandese a Cannes 2002, BLISSFULLY YOURS.

Ma ecco che un giorno, quando gli animali domestici sembrano essere stati sgozzati da una bestia feroce (circola una leggenda che dice che un uomo arrischia talvolta di trasformarsi in una tigre), Tong scompare. E a Keng non rimane che inoltrarsi nel cuore della giungla, alla sua ricerca. Ed è qui che TROPICAL MALADY inizia il proprio viaggio vertiginoso. Nella natura, colta con sensualità travolgente, nel timore delle tenebre che alimentano le allucinazioni; ma, più ancora nella paura, non tanto quella per la sopravvivenza, ma quella tutta metafisica di perdersi in quel mistero. Di abdicare alla propria umanità.

Si pensa allora ad altre giungle stranianti, quella del PLATOON di Oliver Stone, o di APOCALYPSE NOW. Alle belve di Tourneur. Ma la discesa nell'inconscio dettata dalla cultura e dalla forza dello sguardo cinematografico di Weerasethakul vive di una sua formidabile, indimenticabile energia.

Sembra di stare in un cartoon di Miyazaki con le presenze di esseri dematerializzati, anime fluttuanti, spettri della natura che convergono nei corpi degli umani e li affratellano alla natura. Improvvisamente, una gigantesca tigre immobile su un ramo fissa Keng, il soldato, come in CAT PEOPLE di Paul Schrader. Contatto. L'uomo e la bestia si guardano nell'ipnosi della notte thailandese. L'altro, Tong, è l'inquieta presenza mutante, l'amato che ha rinunciato all'assenza di conflitti e si agita lamentoso nella giungla. Intanto, il doppio fluorescente del bufalo morto si stacca dalla bestia e si avvia lentamente fino a spegnersi. Contemplazione buddista, sospensione del tempo.

Qualcosa, forse, non va nell'insostenibile modulazione ritmica. Il montaggio di TROPICAL MALADY è supervisionato da Jacopo Quadri, genio del ritmo: ma quale ritmo possiede una storia di fantasmi thailandesi? Non si può domare una tigre, e allora tanto vale lasciarla libera di muoversi tra i fotogrammi come più le piace.


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