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THREE TIMES
(ZUI HAO DE SHI GUANG)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 maggio 2006
 
di Hou Hsiao-hsien, con Shu Qi, Chang Chen, Mei Fang (Taiwan, 2005)
 
Tre volte nel tempo, tre epoche diverse (nell'ordine 1966, 1911, 2005), tre cronache diverse di 45 minuti ognuna, tre volte la sublime bellezza di Shu Qi accoppiata alla virile distinzione di Chang Chen. Nel medesimo struggimento amoroso: ma nelle diversità psicologiche e storiche, nel condizionamento sociale dell'ambiente che fa da sfondo; e dal quale si nutrono e si significano. Come dovrebbe sempre essere. Tre volte per modo di dire: perché che posi il proprio sguardo fra le motorette nelle mefitiche atmosfere di Taipei o fra le geishe delle case da tè il cinema di Hou Hsiao-sien rimane il medesimo. Splendido e isolato: nella purezza assoluta di uno stile che nell'essenzialità fremente e quasi ascetica trae la propria ragione di essere. Al cinema di questo imparagonabile maestro della scrittura cinematografica bisogna avvicinarsi con la disponibilità che merita, sforzandoci di dimenticare per una volta i canoni frettolosi che condizionano il nostro consumo dello spettacolo. Come per i Bresson, gli Antonioni o i Godard del passato con il rispetto che si dedica ad una lezione continua sull'utilizzo delle immagini; allora, e solo allora, nascerà anche l'emozione e la commozione.

Una sala da bigliardo, un giovane in servizio militare, il desiderio che nasce dall'incontro di un attimo con la hostess, lui che la ricercherà di luogo in luogo, dopo che lei sarà ripartita per altre, eternamente eguali sale da bigliardo: è il 1966 del Tempo degli Amori, franco e ottimista come il benessere economico che sembra finalmente avviato, come quella irripetibile sensualità di un erotismo che nasce dallo sfiorarsi a distanza (chi non ricorda IN THE MOOD FOR LOVE?) e si consuma in due dita che si sfiorano. E' l'episodio del coinvolgimento autobiografico sulle ali di quel Smoke Gets In Your Eyes interpretato dai Platters. Una cortigiana che s'innamora di un militante; ma questi all'alcova preferisce la rivoluzione. E' il 1911 del Tempo della Libertà, la fine dell'impero e l'inizio dell'emancipazione repubblicana cinese; ma è sempre (o, se preferite, già lo era) quello dell'amore sottomesso alle leggi dei soldi e del potere, delle nuove idee che nascono, ma soltanto all'esterno della suadente, terrificante gabbia dorata e delle leggi che regolano i rapporti fra i due sessi che imprigionano Ah Mei. Ed ecco infine l'amore fisico e totalmente esplicito. Fra la cantante di Taipei ed il fotografo; ma che è pure quello della stessa giovane, malata di epilessia, e la sua amica Micky. E' il 2005 della caduta di tutte le barriere, del consumo immediato delle urgenze fisiche come di quelle sentimentali del Tempo della Gioventù, nel flusso incessante del traffico e della techno, dei gadget elettronici e dei primi chiarori dell'alba all'uscita delle discoteche. Illusione di una emancipazione amorosa finalmente conquistata e, inutile dirlo, subito mortificata.

A legare questi momenti eterni e dissimili è la padronanza di uno sguardo che sa adeguarsi, con una sensibilità analitica e poetica ineguagliata ad una diversa dimensione estetica (addirittura quella del cinema quasi muto nell'episodio del 1911) che nella sua perfezione non può che farsi morale. Volta a volta nervoso o contemplativo, frenetico o contenuto, ipnotico e sensuale, astratto o fisico l'eterno rituale dell'incontro fra l'uomo e la donna si rinnova in una maestria che condurrà lo spettatore ben oltre l'ammirazione.


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