TOULOUSE è fatto di tempi lunghi, taluni molto lunghi. Tanti che testimoniano della qualità dello sguardo di Lionel Baier: su un ambiente che solidarizza con in personaggi, il loro stato psicologico, la staticità delle situazioni. Appartengono a uno sguardo che isola i dettagli con acutezza, per reinserirli in un'armonia generale, in una riflessione cosmica. Poi, ci sono i¨gli altri. Più intellettuali, più intrappolati forse dal ricordo dell'autore di UN AUTRE HOMME e di COMME DES VOLEURS per la Nouvelle Vague. Che, se da un lato, identificano l'autore, dall'altro lo confinano (dopo quella bella appropriazione della vita di cui sopra) in una dimensione più letteraria, a tratti prolungata fino all'esasperazione. Ma non sarà, più semplicemente, che la sceneggiatura non è all'altezza delle ambizioni dello sguardo registico? Che i dialoghi, la protagonista ammirevole quando non troppo penetrata nelle proprie turbe, non aiutano in leggerezza, in provocazione, in quell'humour distaccato che costituiva una prerogativa del cinema di Baier?

Lunare, spesso nel proposito più che nei risultati, forse solo incompiuto in quella sua insolita durata di 65 minuti che rende lo spettatore (a proposito?) inappagato, delicato, malinconico e velleitario,TOULOUSE è libero nello sguardo quanto talora imprigionato da un'educazione cinefila forse troppo inquadrata.