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GOTTHARD SCHUH Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 dicembre 2011
 
di Villi Hermann, documentario (Svizzera, 2011)
 
Il cinema di casa progredisce e si rinnova; mentre la figura di Villi Hermann si conferma sempre di più come punto di riferimento di una continuità indiscussa. Hermann produce il nostro cinema più vivace di oggi, come SINESTESIA di Erik Bernasconi; e quello che si annuncia per domani, come TUTTI GIU' di Niccolò Castelli, che sta terminando in questi giorni le riprese del suo primo lungometraggio. Nel frattempo, il cineasta non rinuncia a evolvere, che per lui significa interrogarsi. A prima vista, affinando i propri procedimenti: come qui, sulle tracce del percorso di una figura storica della fotografia nazionale come Gotthard Schuh, scomparso nel 1969. Inseguendone con la propria cinepresa certi itinerari divenuti esemplari: è il viaggio, che da sempre costituisce per il cineasta il supporto espressivo per collocarsi in simbiosi con i propri soggetti. L'ambiente: che, come per il cinema tutto, costituisce il referente per collegare i personaggi e le vicende alla vita. Procedimento non molto dissimile, allora, da quelli che lo hanno preceduto, con il ginevrino Jean Mohr nel 1992, il luganese Christian Schiefer di MUSSOLINI CHURCHILL E CARTOLINE (2003), il franco-ticinese Jean-Pierre Pedrazzini di Paris-Match (PEDRA, REPORTER SENZA FRONTIERE, 2006); e, nel 2009, l'affascinante itinerario cinese accanto ad Andreas Seibert di FROM SOMEWHERE TO NOWHERE.

Il nuovo viaggio è allora quello compiuto da Schuh alla fine degli Anni Trenta, e quindi esaltato nell'estrema preziosità del pubblicazioni assurte a fama internazionale negli anni seguenti. Hermann lo ripercorre, dall'avvicinamento alla megalopoli Singapore, al proseguimento in treno verso Java e Bali. Le immagini di Alberto Meroni sono splendide, come la cattura dell'istante presente. Mentre a intrigare è il commento sonoro: che fonde gli echi orientali e occidentali delle musiche firmate da Christian Gilardi e Zeno Gabaglio ad un mix originale: una sorta di finto Diario ripreso dai testi originali del fotografo, accanto al commento biografico che riflette la voce del cineasta.

Contrasto fra documenti d'epoca e riprese attuali, archetipi di quelle culture e interviste a discendenti; e denuncia della speculazione turistica, della spogliazione di una cultura, tutto già presente nelle preoccupazioni di Schuh a metà del secolo scorso. Ma, da quella che potrebbe essere schematica contrapposizione passato/presente il film si libera progressivamente per farsi, come sempre nei documentari di Hermann, identificazione dell'autore con il soggetto. Tale da chiedersi, quasi misteriosamente, a quale universo poetico appartengano le immagini (o i commenti) delle situazioni.

Ricerca di un Eden, di uno spazio privilegiato di purezza e comunicazione sospeso nel tempo e nello spazio, che si alimenta nel finale di nuove, inattese emozioni. Schuh dagli Anni Cinquanta risiede sempre di più nel Malcantone; e Hermann si accorge di essergli vissuto accanto, di essersi inconsciamente nutrito di quelle medesime emozioni. Con quello che a prima vista appare uno sberleffo di montaggio espressivo, il sentiero di Bali svolta a Bedigliora: altri profili, altre luci diversamente squisite, di una condivisione poetica che si fa allora di tutti.


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