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L'EXPERIENCE BLOCHER Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 aprile 2014
 
di Jean-Stéphane Bron, documentario (Svizzera, 2013)
 
Non era facile, neanche per il nostro documentarista più moderno. Non in questo modo: girando faccia a faccia con una vecchia volpe come Christoph Blocher, sperando sulla sua collaborazione, se non proprio sul fatto di carpirgliela dietro le spalle a sua insaputa. Un po' come aveva fatto dietro le quinte del magistrale MAIS IM BUNDESHUUS, una volta confrontato al veto di filmare i dibattiti in aula dal vivo.

Così, Blocher è ripreso a lungo all'interno della sua autovettura, mentre gira la Svizzera impegnato nella campagna del 2011: la cinepresa fissa sul protagonista e la moglie, accomodati sul sedile posteriore della Mercedes, una figura quasi muta e a dir poco sfuggente che si guarda bene di cadere in qualche contraddizione. A tal punto, da far dire ai delusi dall'attesissima pellicola che si è finito per rendere un involontario servizio al più controverso personaggio del quadro politico svizzero delle ultime generazioni.

Equivoco accettabile, ma ingiusto. Poiché significa ignorare quanto Jean-Stéphane Bron, fra i nostri non innumerevoli cineasti di statura mondiale, ci mette del suo. Ci mette di cinema: non tanto gli spezzoni d'epoca ripresi dalle attualità, comunque godibili e illuminanti, quanto l'uso degli ambienti, da sempre grande arma del cineasta. I significati che sprigionano dal sottofondo di quella villa con piscina e immensa collezione di Anker che domina la costa dorata del lago di Zurigo: nella quale soffermarsi e meditare, ma in perfetta solitudine. O lo sfondo dalla imperiosa tensione drammatica delle cascate del Reno, dove da giovane Blocher trascorreva le vacanze; e nelle quali è facile ritrovare gli echi psicanalitici della sua formazione. Più impressionante ancora, il castello a strapiombo sul Reno di Rhäzuns nel quale riceve i grandi del mondo, in atmosfere che gli assicurano una grandeur da Ludwig viscontiano. O, ancora, le riprese dall'alto sulla limousine che s'insinua nelle foreste, itinerario sinuoso, premessa d'inquietudini che ricordano quelle interiorizzate della celebre introduzione dello SHINING di Kubrick.

Forse ci si aspettava un Michael Moore di casa nostra: ma il regista romando non indaga grazie al sarcasmo e ai furbi espedienti. Usa un cinema che si significa interamente nelle risonanze dei dettagli, nei riferimenti espliciti ai metodi dell'Orson Welles leggendario di QUARTO POTERE. Ovviamente, significa anche porre l'asticella un po' tanto in alto.


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