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THE SQUARE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 novembre 2017
 
di Ruben Östlund, con Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West (Svezia, 2017)
 

Per qualche critica di troppo, The Square non si sta godendo appieno la sua Palma d’Oro, ottenuta in maggio al Festival di Cannes. Eppure, anche se in quell’’edizione al disotto della media per il maggior incontro cinematografico al mondo, Ruben Östlund il premio se lo è ampiamente meritato.

Non prendiamolo per uno sprovveduto, innanzitutto, il regista svedese. Il suo primo lungometraggio, Gitarrmongot, vinceva già nel 2004 il premio Fipresci al Festival di Mosca; e il secondo, Happy Sweden, era al Certain Regard di Cannes due anni dopo. Nel 2011, Play scandalizzava e nel contempo esaltava la critica descrivendo ciò che era successo poco prima a Göteborg: una banda di ragazzini di colore immigrati sfruttava i coetanei bianchi, ma nel corso di un’equivoca alternanza fra vittime e persecutori. Infine, con il Premio della Giuria di Turist (Forza maggiore) 3 anni fa sempre a Cannes, gli permetteva una nuova provocazione: una famiglia svedese in vacanza nelle Alpi, la valanga che giungeva sulla soglia del ristorante. Ma nel frattempo il capofamiglia se l’era data a gambe, incurante del resto della famiglia…

L’altruismo rimane anche il tema in sottofondo di quest’ultimo The Square: a prima vista una satira, a tratti irresistibile sull’universo dell’arte contemporanea, oltre che di certe talvolta cervellotiche strategie museali. Rispettato curatore del Museo d’arte concettuale di Stoccolma, l’attore danese Claes Bang (una rivelazione) è presente in ogni piano: si occupa da divorziato dell’educazione dei figli, lusinga come di dovere i donatori dell’istituzione, si concede qualche rischiosa licenza con le giornaliste (una bravissima Elisabeth Moss del Top of the Lake di Jane Campion). Sarà però il furto di cellulare e portafoglio a compromettere la sua invidiabile disinvoltura: avviando nel contempo il film su quell’alternanza sapiente fra umorismo e amarezza sociale che costituisce la sua particolarità.

Il protagonista rimane lucido, ma pure empatico nei confronti della società (spesso della fauna) che gli ruota attorno. Cosi che le infinite situazioni create nel film risultano, oltre che sottilmente comiche, di una lucidità solitamente bypassata in questo genere di operazione. Viatico indispensabile per la scoperta di ogni progetto, lo sfondo è perfetto. Lo spazio nordico, cosi razionale, raffinato e lustro, contrasta mirabilmente con quell’allegra dissacrazione, destinata a sfociare nella paura e nell’amarezza. È pure vero che Östlund tira tutto un po' alle lunghe, dilatando certe sequenze oltre la norma, riassumendo forse meno del previsto. Ma ciò gli permette un tono tutto suo; e un rigore espressivo nel frugare l’ambiguità del conformismo che gli evita la satira risaputa.


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