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SUSSURRI E GRIDA
(VISKNINGAR OCH ROP)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 febbraio 1974
 
di Ingmar Bergman, con Harriet Andersson, Ingrid Thulin, Liv Ullmann, Kari Sywan, Georg Arlin, Erland Josephson, Henning Moritzen, Anders Ek (Svezia, 1973)
 

Non si scopre Bergman con SUSSURRI E GRIDA perché i suoi temi sono i medesimi da sempre, e perché egli è uno di quei registi che filma sempre i medesimi temi: la solitudine dell'uomo in un mondo abbandonato da Dio, la sua angoscia «in una terra oscura e sporca, sotto un cielo vuoto e crudele», come dice il pastore nella sua disperata orazione funebre, in una delle innumerevoli sequenze-chiave del film. Ma Bergman rifiuta la disperazione del pastore di fronte al silenzio di Dio: SUSSURRI E GRIDA è quasi sicuramente il suo capolavoro più alto perché mai, nella sua lunga carriera, il regista era riuscito a trasportare la disperazione terrena in una fede assoluta con una forma così semplice, così comprensibile, così pura e umana.


Scomparsi gli oscuri personaggi dalla nordica impenetrabilità, perduti in drammi altissimi ma inavvicinabili, scomparsa la simbologia di difficile interpretazione, la tentazione per il raffinato ma talvolta accademico gioco metafisico, SUSSURRI E GRIDA riassume in poche figure splendidamente terrene e tangibili tutta la tematica dell'autore. In questo sforzo di concisione il film è semplicemente portentoso. Bergman è sempre stato un cineasta del volto umano: ma qui riesce a condensare sulle infinite prospettive di quattro visi di donna le poche, essenziali linee che reggono l'esistenza dell'uomo.


Affogato nel mare di rosso che avviluppa l'intera azione (tanto che persino le dissolvenze, anziché al nero, sono al rosso) come in un gigantesco utero pulsante, il bianco dei visi galleggia disperatamente, teatro di un dramma eterno. A parte le brevi sequenze iniziali e finali il film è un unica trama scarlatta, sulla quale si muovono con consumata sapienza le sculture scavate dei volti, i fluidi drappeggi delle biancherie, che accompagnano in un continuo ripensamento della Passione il dramma dei protagonisti.


Il genio di Bergman consiste nel non approdare mai, con questo suo discorso formale di stupenda concisione e bellezza, ad un semplice risultato decorativo. Ma di servire, al contrario, la creazione di quattro figure immensamente approfondite, di memorabile esemplarità. Alla solitudine di Karin, murata nella propria impossibilità di comunicare fisicamente e di sfuggire alla prigione della convenzione e dell'egoismo sociale, o a quella di Maria, altrettanto alienata nei suoi sterili sfoghi sensuali, Bergman contrappone il legame perfetto che unisce Anna ed Agnese e che trova il suo momento culminante, vero miracolo vibrante di somma espressiva, nella inquadratura della Pietà. L'istante del passaggio dall'inferno terreno a quello dell'aldilà, in un supremo atto di amore, coincide per Bergman ad un contatto fisico, ad una vicinanza fra amore spirituale ed amore sensuale che mai il cinema aveva reso in modo così evidente.


La figura della governante Anna, meraviglioso viatico dell'amore più semplice e puro, in un mondo negato alla possibilità di dare e quindi di esistere, lega formalmente la vicenda, con il suo incessante andirivieni, la sua costante, materna presenza sullo sfondo.


Grazie a questa stupenda figura emblematica, ma al tempo stesso incredibilmente presente e concreta, Bergman fa di questo film apparentemente disperato, uno straordinario atto di amore e di fede nell'uomo. Sola fra i personaggi dell'opera a non essere inghiottita dalla matrice purpurea, infernale, dipinta coi toni bruni e neutri della carne che porge con istintiva, sublime semplicità, essa rappresenta la chiave per il passaggio verso la verità e la pace, verso la possessione di quel segreto mitico, e più prezioso fra tutti, che l'uomo ha cercato da sempre. Opera al tempo stesso profonda e semplice, somma delle angosce ma anche della fede di un autore, esempio di trascrizione formale della intuizione geniale, SUSSURRI E GRIDA è un esempio difficilmente eguagliabile di come il cinema possa, nei suoi momenti più alti, testimoniare delle più recondite aspirazioni dell'uomo.


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