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SCENE DA UN MATRIMONIO
(SCENER UR ETT AKTENSKAP)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 dicembre 1975
 
di Ingmar Bergman, con Liv Ullmann, Erland Josephson, Bibi Andersson, Gunnel Lindblom (Svezia, 1973)
 

“Ho impiegato tre mesi a scrivere questo film, quattro a girarlo. Ma mi è costato l'esperienza da una vita intera”. Tutto il fascino di questo film-somma è nelle parole del regista. Esistono due sorta di distacchi fra l'autore e la propria opera. Il primo è spirituale: è quello che permette ad un autore giunto alla maturità di volgersi indietro. E di guardare con serenità, con lucida consapevolezza alla propria esperienza. Il secondo è di scrittura, di linguaggio. SCENE DA UN MATRIMONIO è il film più epurato, più essenziale che Bergman abbia diretto finora. Notoriamente, esso è tratto da una serie di sei emissioni televisive di cinquanta minuti ciascuna: ma la scrittura è così perfetta che mai si avverte quella frammentarietà. Al contrario, Bergman ci dà un'opera monolitica, costruita con una logica impeccabile. Si potrebbe parlare di linguaggio televisivo (l'intervista iniziale), o di finzione cinematografica (la sequenza che segue il pranzo a quattro), o infine di teatro filmato. Mai come qui questi termini appaiono relativi ed arbitrari: Bergman ha fuso il tutto, sulla base di una sceneggiatura di prodigiosa perfezione.


La parola, il dialogo dettano l'immagine. SCENE DA UN MATRIMONIO è un continuo rinvio espressivo tra parola ed immagine, l'esempio di come la fascinazione cinematografica nasca proprio dal rapporto sottile che lega quei due elementi. Non si potrebbe spiegare altrimenti la tensione, l'interesse, la mancanza di vuoti, diciamo pure la mancanza di noia in tre ore di proiezione che ci mostrano, in pratica, soltanto due figure, un uomo e una donna, su di uno sfondo praticamente spoglio.


Bergman ci dice il più possibile dei suoi personaggi (si pensi all'intervista iniziale) con il minor numero di effetti possibile. Oppure scatena la violenza (nella sequenza del divorzio) stilizzando i due protagonisti su due seggiole in una stanza. Emotivamente, sentimentalmente, SCENE DA UN MATRIMONIO può anche apparirci, a tratti, schematico, costruito, freddo. Come talvolta in Bergman, questi eroi nordici possono sembrarci rinchiusi in un loro mondo egoisticamente riservato, lontano dalle nostre psicologie. Ma è invece rivisto sulla traccia della costruzione che il film acquista un fremito ed una autenticità commoventi. Esclusa dai dialoghi, dalla sceneggiatura, dalla volontà dell'autore di evitare al massimo il melodramma l'emozione rientra fra le righe del discorso. Come non avvertirla, ad esempio, in quei primissimi piani dei protagonisti, dove ogni parola di un dialogo studiato fino alla perfezione, si riflette sulle più minute inflessioni del viso della straordinaria Liv Ullmann?


Chiaramente, SCENE DA UN MATRIMONIO rappresenta innanzitutto il trionfo della parola. Ma quello che ne fa un'opera cinematografica è l'estrema sapienza con la quale Bergman ha costruito, nel modo più semplice possibile, l'immagine sulla parola. Con un'arte del contrappunto che non può non ricordare la musica di Bach.


E' la storia di una coppia, che solo una convenzione chiama matrimonio: è il disfacimento al quale questa convenzione inesorabilmene conduce, dall'ipocrisia alla violenza, fino a quella calma ritrova che permette di guardarsi alle spalle, e di osservarsi. Ma è soprattutto la possibilità, invero prodigiosa, di saper trasporre questo distacco in termini cinematografici: con un distacco tranquillo, faticoso e sofferto che forse soltanto il regista svedese possiede.


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