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I PIONIERI - LA NUOVA TERRA
(NYBYGAMA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 aprile 1975
 
di Jan Troell, con Max von Sydow, Liv Ullmann, Eddie Axber, Per Oscarsson (Svezia, 1973)
E la seconda parte dell'imponente racconto epico (con il primo episodio, KARLA E KRISTINA (GLI EMIGRANTI), dura circa sette ore) che Jan Troell, sceneggiatore, fotografo, regista, collaboratore oltre che di Bergman dell'altra grande personalità del cinema svedese, Bo Widerberg, ha dedicato all'emigrazione del suo popolo del secolo scorso. Dire del suo popolo ha una importanza relativa, perché l'opera di Troell, come tutte quelle che assurgono a livello d'arte, assume una dimensione universale, un significato eterno. Gli emigranti delle nostre valli, la loro condizione umana, non doveva essere molto diversa da quella dei nordici di Troell.

I PIONIERI inizia dove terminava KARLA E KRISTINA: al termine del lungo viaggio dalla Svezia al Minnesota, nel cuore di una natura incontaminata, inizia l'era pionieristica, dalla capanna costruita con quattro legni, alle messi dorate che, una generazione più tardi, coroneranno la fatica primordiale degli uomini. Rispetto alla prima parte, si nota subito una differenza stilistica: qui il ritmo è più mosso, l'uso delle focali più variato, quello dei primi piani, persino delle zoomate più frequente.Troell ha cercato, in quest'opera granitica che possiede il respiro ampio e solenne dei grandi romanzi della letteratura, una costruzione organica che sviluppasse progressivamente, con il procedere del racconto, il discorso ideologico e la relativa evoluzione del linguaggio.

KARLA E KRISTINA (GLI EMIGRANTI) che presentava il quadro inamovibile della costrizione sociale, da quella spirituale, dalle ingiustizie feudali e dal ricatto divino, era girato in campi medi e totali, con un ritmo solenne, privo di drammatizzazione, che donava all'atto quotidiano il significato di un gesto esterno. Qui, al contatto con una realtà inedita, Troell assume una dinamica vieppiù marcata, fino all'uso di certe angolazioni esasperate (gli obiettivi a grande angolo, nella sequenza peraltro meno riuscita, dei cercatori d'oro) e di un uso "moderno" dello stile, che contrasta singolarmente con quello magistralmente rigoroso di altre parti dell'opera. In questa evoluzione linguistica del lavoro che da un lato testimonia della grande attenzione di Troell ma che dall'altro non sempre si costruisce perfettamente, stanno le uniche riserve su di un film altrimenti ispiratissimo.

La forza straordinaria di Troell sta nell'immergere le sue vicende nel quadro di una natura resa in modo incomparabile. E' il suo ritmo delle stagioni, il contatto quasi palpabile con la terra, che imprime ai personaggi ed ai loro gesti una verità antica. la natura, alla quale l'uomo è confrontato secondo le leggi di sempre, ci restituisce l'individuo denudato da ogni sovrastruttura. La sua generosità o la sua crudeltà, distribuite senza parzialità, contrastano con le leggi ed i rapporti degli l'uomini, che Troell denuncia nella loro ipocrisia. La bellezza della visione è grandissima: ma mai il regista si attarda un attimo a compiacersi di tanto splendore. Sia uno sguardo sovrano su un paesaggio, o il raggio di luce sui capelli di un bimbo sono per Troell l'attimo di un discorso, mai l'abbandono ad una evasione compiaciuta.

Il suo cinema è degno della parola "classico". Sulle tracce di un John Ford, è questo classicismo dell'immagine, il segreto della autenticità del discorso. Il rigore estremo della composizione illustrativa di Troell,quell'armonia superiore che governava gran parte della sua opera, conferisce lo stesso rigore, la stessa profondità, alla meditazione che l'autore porta sui destini dell'uomo.

Le splendide sequenze finali riassumono mirabilmente il significato dell'opera: non c'è scampo nella fuga, nella migrazione, ed una condizione di miseria, materiale e spirituale, che la società umana eternamente ricrea.


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