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OLTRE LE COLLINE - BEYOND THE HILL
(DUPA DEAULURI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 maggio 2013
 
di Cristian Mungiu, con Cosmina Stratan, Cristina Flutur, Valeriu Andriuta (Romania, 2012)
 
Non è che dai tempi di Ceausescu le cose sembrino andare molto meglio in Romania. Dopo la cupa repressione ad opera del comunismo agonizzante del formidabile 4 MESI, 3 SETTIMANE, 2 GIORNI, gelida requisitoria sull'aborto clandestino Palma d'Oro a Cannes nel 2007, ecco un'altra riflessione tranciata con identica lucidità ( pure distinta a Cannes 2012 con il Premio alla Sceneggiatura e all'Interpretazione Femminile) sull'equivoco tragico che ancora sembra coltivarsi fra amore sacro, profano e, meglio ancora, speculativo. In OLTRE LE COLLINE Cristian Mungiu affonda la sua lama con la determinazione feroce che gli è tipica, nel malessere di un paese che non si è ancora liberato dall'ipocrisia, dalla paura soggiacente. E al quale non basta l'illusione di supermercati e autolavaggi per risollevarsi da una endemica miseria economica e morale.

Sulla collina sovrastante, fra corvi e quattro arbusti spelacchiati dal lungo inverno incipiente, si staglia controluce il convento del prete ortodosso; il "papà" da compiacere ad ogni costo da parte delle anime miserelle che si stagliano in nero contro il cielo minaccioso, febbrili fra la chiesa sconsacrata, il refettorio, le celle. E' in quel microcosmo fatale e ipnotico, in quella dimensione dolciastra appena uscita da un mondo di oscurantismo evangelico che giunge Alina; dalla Germania, dove ormai lavora e per dove vorrebbe ripartire, ma non senza la sua amica dai tempi dell'orfanatrofio, senza la quale non può vivere. Però Voichita, tanto esile quanto la massiccia Alina è in apparenza solida, non appartiene ormai più al suo mondo ma, in spaventosa progressione, a quello della fede. E' la fede intesa dal priore e dalla badessa: che muterà presto dai toni del melenso convincimento alla violenza, di chiodi, martelli, catene.

Per esorcizzare il demonio che alberga in chi crede in un amore terreno - e, come non bastasse, omosessuale - i tempi degli esorcismi (e i toni dei film) non sono forse più quelli usati per gli assatanati dei capolavori di Dreyer o delle esagitazioni di Ken Russell: ma Cristian Mungiu non si è inventato nulla, se è vero che i fatti sono realmente accaduti nel monastero di Tanacu nel 2005. Il film dura una mezzora più del dovuto, sminuendo cosi in parte la forza coinvolgente della sua forte progressione drammatica per diluirsi in un finale un po' speditivo. Ma, anche per il taglio magnifico della fotografia, quel processo spaventosamente ambiguo di una violenza morale che scivola in quella fisica non sfugge mai alla prepotenza evocativa d'immagini che s'imprimono per sempre nella memoria.


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