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RITORNO A CASA
(VOU PARA CASA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 maggio 2001
 
di Manoel De Oliveira, con Michel Piccoli, Antoine Chappey, John Malkovich, Leonor Silveira, Catherine Deneuve (Portogallo, 2000)
 
Protagonista indimenticabile di RITORNO A CASA è Michel Piccoli; nei panni altrettanto memorabili di Gilbert Valence, acclamato principe del palcoscenico. Nei ruoli che l'età ormai gli permette: i grandi vecchi di Ionesco o di Shakespeare (La Tempesta: "siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni...), i magnifici sovrani che non si rassegnano a quelle che lo stesso Ionesco definiva"le tappe di un'agonia o, se preferite, della rinuncia: paura, desiderio di sopravvivere, tristezza, nostalgia, ricordi ed infine rassegnazione".

È proprio cosi, nella doppia finzione del teatro all'interno del cinema, che inizia l'ultimo film dell'incredibile novantatreenne portoghese Manoel de Oliveira. Inizio rassicurante: poiché noi sappiamo, proprio come il protagonista di Le Roi se Meurt, che finché durerà la Recita, durerà anche la Vita. Ma è il teatro della vita - altra verità ineluttabile - ad imporre le proprie leggi a quelle dell'invenzione e della fantasia. Cosi, ad attendere al termine della recita il grande attore fra le quinte, ecco alcuni individui nell'imbarazzo: dovranno annunciargli lo scomparsa, in seguito ad un incidente, della moglie, la figlia ed il genero.

Eccolo iniziare, allora, questo teatro della vita: annunciato da una di quelle didascalie ("qualche tempo dopo") che tanto piacevano ai maestri del muto (ai quali RITORNO A CASA, per molti aspetti, curiosamente rimanda). Il grande attore, anziano, ma ancora in forma, ancora rincorso dalle ragazze in caccia d'autografi, imparare a fare il nonno, a dedicarsi al piccolo nipote sopravvissuto. A riappropriarsi di una parte, forse un po' tralasciata di quella realtà che gli stava attorno. Una Parigi incantata, la solita: ma come sospesa nel tempo: il caffè al bistrot, il giornale favorito, un paio di scarpe alla moda acquistate in un capriccio malizioso da giovanotto, davanti allo sguardo altrettanto malizioso delle passanti. E di una cinepresa toccata dalla grazia.

Manoel de Oliveira ha girato tanti film nobili e giusti, talvolta lunghi e letterari, toccanti, e anche un po' noiosi. In RITORNO A CASA filma il Michel Piccoli forse più vero e umano di una pur grande carriera. Come attraverso il tempo, in trasparenza. È la trasparenza delle vetrine, dei caffè, dei negozi, dietro ai quali vediamo l'attore gesticolare gentilmente, in una mimica leggiadra, resa esemplare ed eterna dal fatto che intuiamo soltanto ciò che sta succedendo. Ma è pure il filtro offerto delle folgoranti sequenze teatrali: che fondono i loro significati, egualmente iscritti per sempre nelle memorie, a quelli del magnifico vecchio che si sta consumando. È la trama in filigrana, evidente, ma immensamente commovente nel pudore che appartiene all'arte più grande che lega lo spettacolo al quale assistiamo all'occhio che sta dietro la cinepresa: quello di un altro, fertile, virile creatore di 93 anni. L'arte di sublimare, nella propria arte, la propria vita.

Assieme, Manoel de Oliveira e Michel Piccoli esorcizzano la morte: creano un inno, di una semplicità, una leggerezza, un umorismo squisiti alla creazione ed alla vita. Un regista americano (John Malkovich, pure lui di una giustezza formidabile) gli chiederà di sostituire all'improvviso un collega in un testo particolarmente impegnativo; quello di un adattamento cinematografico dall'Ulisse di Joyce. E per l'Attore, in un finale crudele ma lucido, sereno e disincantato come tutto questo film indimenticabile, giungerà allora definitivamente il tempo, davanti agli occhi sereni e già consapevoli del nipotino, di "ritornare a casa".


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