Malgrado un finale (o, piuttosto, più finali, dovuti ad incertezza?) che guastano, Sapinho è una delle rivelazioni di Locarno 95. Il suo approccio ai personaggi, ed alla sensuale protagonista, all'ambiente ed alla dinamica dell'azione dimostrano come egli abbia preso il meglio delle lezioni da Godard via. La leggerezza e la curiosità della cinepresa introducono fascino e mistero in una situazione non di certo inedita: le difficoltà della vita di coppia. L'autore le traduce però con sequenze mataforiche (i giovani sposi che si dibattono nel grande involucro di plastica che conteneva il materasso) tradotte con rara intuizione espressiva. L'uso del colore (i rossi della protagonista) ricorda quello referenziale di un Polanski. È il cinema che le giurie stanche ed approssimative stentano a distinguere: basato non tanto su una storia e le sue belle intenzioni, quanto sul mistero sottile di come cogliere un frammento di vita negli individui, negli oggetti che stanno loro attorno.