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QUATTRO NOTTI CON ANNA
(CZTERY NOCE Z ANNA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 giugno 2009
 
di Jerzy Skolimovski, con Artur Steranko, Kinga Preis, Redbad Klynstra (FOR ENGLISH VERSION SEE BELOW) (Polonia, 2008)
 

FOR ENGLISH VERSION SEE BELOW

Come s'usava dire, la classe non è acqua. Settantenne, ma soprattutto da sedici (!) anni assente dal grande schermo, uno dei polacchi più grandi che abbiano onorato il cinema dell'Est a partire dagli anni Sessanta è di ritorno. Dopo un lungo esilio, in parte inglese; e, come non bastasse, in piena immersione nel proprio Paese, nei temi e nelle atmosfere che gli appartengono di diritto.

In un buco, surrealista a furia di essere spaventosamente anonimo, chiamiamolo villaggio, sprofondato in una foresta stecchita dal freddo, desertificato dal fango che sporca subito quel poco di neve, nemmeno rallegrato dal fiume al quale ci avviciniamo per pochi attimi, quelli che bastano a mostrarci un cadavere di mucca che scorre a valle trascinato dalla corrente. A somiglianza di quei quattro personaggi trascinati a loro volta dal tempo che trascorre immobile. A cominciare da quello di Léon, l'inceneritore di cadaveri dell'ospedale, uno che ispira la medesima simpatia della funzione che esercita. Per continuare con quello dell'infermiera, bionda ma non immaginatevi una Marylin della celluloide, piuttosto un oggetto del desiderio che nasce dalla disperazione: e che Léon passa il tempo a spiare da lontano, e poi sempre più da vicino.

Il cinema, quanti grandi registi l'hanno dimostrato, è l'arte del voyeurismo. Quello di Skolimovski sposa allora quello di Léon. Ed il miracolo avviene. Una scure acquistata al supermercato, delle visioni infernali di un ospedale perlomeno ambiguo, una nonna paralizzata da accudire prima di uno dei tanti bracieri che incendieranno il film? Sono tutte le piste false di un thriller fantastico della solitudine; che finirà per trasformarsi in un poema insolito e perfino commovente del cuore.

Quattro frasi attraversano le quattro notti assurde di Léon con Anna: ma Skolimovski le impregna della forza del proprio sguardo, in una luce stravolta, dei personaggi ripresi di sbieco, un tono difficile da dimenticare, costantemente in bilico tra il grottesco e il romantico, dei soprassalti di comicità che sfidano la tragedia. Quella della solitudine del desiderio, come dell'aspirazione insopprimibile all'amore.

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As they used to say, class is not water. Seventy years old, but mostly absent from the silver screen for sixteen (!) years, one of the greatest Poles to have graced the cinema of the East since the 1960s is back. After a long exile, partly English; and, as if that were not enough, fully immersed in his own country, in the themes and atmospheres that rightfully belong to him.

In a hole, surrealist by dint of being frighteningly anonymous, let's call it a village, plunged into a forest frozen stiff by the cold, desertified by the mud that immediately dirties what little snow there is, not even cheered by the river to which we approach for a few moments, those that are enough to show us a cow corpse flowing downstream dragged by the current. In the likeness of those four characters dragged in turn by time passing motionless. Starting with that of Léon, the hospital's corpse incinerator, one who inspires as much sympathy as the function he performs. To continue with that of the nurse, blonde but not imagining a Marylin of celluloid, rather an object of desire born of desperation: and whom Léon spends time spying on from afar, and then ever closer.

Cinema, how many great directors have proved it, is the art of voyeurism. Skolimovski's then marries Léon's. And the miracle happens. A supermarket-bought axe, hellish visions of an at least ambiguous hospital, a paralysed grandmother to look after before one of the many braziers that set the film alight? These are all the red herrings of a fantastic thriller of loneliness; one that ends up turning into an unusual and even moving poem of the heart.

Four sentences run through Léon's four absurd nights with Anna: but Skolimovski imbues them with the force of his own gaze, in a distorted light, characters shot from the side, a tone that is difficult to forget, constantly poised between the grotesque and the romantic, overtones of comedy that defy tragedy. That of the loneliness of desire, as of the irrepressible aspiration to love.

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