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IL TEMPO
(WAATI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 maggio 1995
 
di Souleymane Cissé (Mali, 1995)
"Non si era più visto dal 1987, l'anno di YELEEN (LA LUCE), un film di colui che, assieme a Sembene Ousmana, è da sempre considerato il più emblematico dei registi dell'Africa Nera. Ad otto anni di distanza (tanti ne costano in fatica a produrre un film impegnativo come quest'ultimo da quelle parti...) ecco un altro titolo legato agli elementi primordiale, WAATI, che significa IL TEMPO.

Ed è a questi elementi, a questo senso dei primordi, della continuità che lega il mistero iniziatico, le radici della propria cultura alla terra, all'ambiente (tutti temi che già segnavano YELEEN) che si riferiscono le sequenze d'indicibile fremenza poetica, solenni ed elementari al tempo stesso, che introducono a WAATI. Sono riprese dall'alto, probabilmente da un elicottero: immense, lentissime panoramiche su un territorio deserto che nella luce del tramonto, nel ritmo conferito alle immagini acquista immediatamente il sapore eterno di una dimensione primordiale, di un pianeta lontano sul quale l'Uomo ponesse, per la prima volta, il proprio sguardo. Ma la cinepresa, progressivamente, si avvicina alla superficie: allora, si definiscono i dettagli, appaiono coste, protuberanze, avallamenti, mentre la visione scivola dietro ad una montagna. Qui siamo già nell'ombra, poiché il sole sta calando dall'altra parte, dove si allungano le ombre basse sulla pianura: da questa zona di semioscurità incombente, da questa dimensione ancora incerta nella quale una genesi sembra iniziarsi, dapprima incosciente, poi progressivamente vieppiù' tangibile, contorniamo il monte, fino a ritornare, sempre più bassi, ormai a raso suolo, verso quell'angolo, quell'ultima svolta dietro la quale s'indovina l'ultimo (il primo?) sole. I suoni, dapprima remoti, si fanno allora meno ovattati: e sono vaghi sussulti, lontani scontri cosmici, poi vaghi martellamenti che si fanno ritmi, nenie sempre più simili al canto, 'ordine, la ragione, la civiltà si sono finalmente imposti.

Fine della sequenza: per ritrovarci accanto ad un fuoco, dove una vecchia sta raccontando di qualcosa che assomigli alla Genesi. Dio era imbarazzato, dice la vecchia, poiché scegliere che razza d'individui bisognasse porre in quel nuovo mondo, prendeva tempo. Mentre i suoi collaboratori deliberavano sul da farsi, Dio decise allora d'impiegare il tempo a creare altre specie, come gli animali, tutti diversi, tanto diversi. Ed il mondo fu fatto allora: nella sua diversità, nella sovrapposizione di quegli strati che ancora oggi si scontrano per ritrovare una loro armonia.

Tutto il film che segue (con infinitamente meno d'armonia, con molta intuizione ma ancor più faticosa ineguaglianza: ma, dopo tutto, Souleymane Cissé non è certo che un povero, infinitamente minore Creatore...) è il tentativo di rappresentare quella sovrapposta diversità, quella frammentazione che bisognerà pure ricondurre ad un'entità unica: quella che chiamiamo, se non la Terra, perlomeno il Continente Nero.

Il film prosegue allora nel Sudafrica: con delle rappresentazioni che non possono essere che di primordiale (anche schematico, ai nostri occhi ahimè smaliziati)) razzismo. E culmina questa sua prima parte una una scena forte, semplice ai limiti dell'accademismo. ma pure straordinariamente commovente - dove la ragazzina che seguiremo per tutto IL TEMPO assiste sulla spiaggia, davanti ad un mare scatenato, all'assassinio di suo padre e del fratellino. Da parte di una guardia a cavallo, poiché la spiaggia,e tutto quel mare, erano fra quelli riservati ai bianchi.

La presa di coscienza, la quasi ineluttabile vendetta obbligherà la protagonista a seguire il proprio cammino iniziatico: sarà dapprima la fuga in Costa d'Avorio, l'apprendimento della Cultura (altro tema tipico del cinema di Cissé) fino all'Università ed alla laurea, il fidanzamento e quindi l'introduzione nella grande borghesia nera, il viaggio nelle zone più emarginate fra i beduini di quella Timbuktu destinata scomparire sotto la sappia. Ed il ritorno, infine, non così semplice verso quel Sudafrica natale dove le cose avrebbero dovute, nel frattempo, essersi sistemate...

"La nostra coscienza non sarà mai liberata dalla nostra storia", dirà la protagonista, alla fine di questo lungo, ambizioso ma indispensabile itinerario.

Egualmente lungo, ambizioso e frammentario, IL TEMPO traduce questo suo essere in una diversità espressiva che può apparire fastidiosa, ma che pure è voluta: "non ho voluto fare qualcosa di monocorde, all'americana, non un film sull'Apartheid" dice Cissé. E quindi al dinamismo, alla descrizione della violenza fa seguire la serenità del periodo dell'apprendimento, quello della conoscenza, quando la protagonista conosce le zone desertiche, l'incontro con i beduini che ricorda certi momenti di URGA, infine il ritorno, girato nelle atmosfere contemporanee dell'aeroporto.

Così, WAATI non è un film compatto, fluido e sereno. È un'opera ambiziosa ed universale, che della cultura nera possiede pure le alternanze e gli scompensi: costellato di momenti di grande emozione, talora risolti che notevoli intuizione espressive, è generoso fra una miriade di opere calcolate, indispensabile in un mondo di film inutili."


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