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E' STATA LA MANO DI DIO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 dicembre 2021
 
di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Filippo Scotti, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri (FOR ENGLISH VERSION SEE BELOW) (Italia, 2021)
 

(For English version see below, or press first the Google Translation Button )

Vent'anni dopo L'uomo in più, il  delizioso e ancora in buona parte ignorato suo primo film,  Paolo Sorrentino ritorna alla Napoli dové nato a cresciuto. Con tutto che ciò comporta, e dopo Youth - La giovinezza  (2015) che già dava segni rallegranti di qualche ripensamento a favore di un'arte del ricordo degna di una indiscutibile intraprendenza estetica.

Non eravamo infatti stati teneri con La grande bellezza, addirittura Premio Oscar nel 2013, ritenuto da alcuni come il suo film più grande; mentre si limita ad essere il suo più celebrato. Troppo sbandierato Fellini, in quel doppio filo imprudente con La dolce vita in quella stessa Roma che sappiamo quanto bella, esausta e degradata sia. Con finanche il grande Servillo incautamente accostato al sommo Marcello che tutti conosciamo.

Ora, però, E' stata la mano di Dio rimette molte carte al loro posto. Solo in parte grazie a quella mano divina del titolo, che ovviamente è quella di Maradona:. La stessa che gli permise di segnare una delle reti più proibite e carica di conseguenze della storia del calcio.

Più che di Maradona, però, giustamente ripreso più volte nel percorso della pellicola per ricordarci quanto abbia significato per la Napoli negli Anni Ottanta del suo primo scudetto, è il film a dirci, e quanto, del suoautore. Così, nella sua ricostruzione coerente, solo in parte romanzata (e quasi mai inquinata. in nome di forse seducenti ma devianti tentazioni), di una sorta di racconto di formazione, eccolo assumere il peso dellla confessione autobiografica, più che divertente dapprima, progressivamente accorata in seguito.

Alimentato dal ricordo, da una memoria vieppiù aggraziata, non solo grazie alle immagini che sappiamo sapienti, nei suoni, nelle tinte sgargianti oppure fuse dai vicoli napoletani, nella profusione di addobbi che il cineasta cinquantenne dispensa con una generosità che gli è congeniale, ecco che il film si afferma allora in progressione. Come il risultato più compiuto, al tempo stesso gioiosamente divertito e quindi drammaticamente vissuto, di una filmografia che sappiamo non indifferente

Se Maradona, in un primo tempo carpito dalla Juventus, costituirà allora il sogno inappagabile, ecco che Fabietto (l'esordiente indimenticabile, Filippo Scotti, al quale Venezia ha giustamente riconosciuto il Leone per l'Interpretazione), coincide con il risveglio da quel sogno. Dapprima, nella  visione caleidoscopica di Sorrentino che si abbandona con una felicità disincantata che temevamo perduta nei toni più autentici della commedia all'italiana. Poi, e quasi inavvertitamente per lo spettatore, in un dramma che condizionerà il ricordo, fino al lirismo di Pino Daniele che giungerà a commuovere anche i titoli di coda. Dal bagliore lusinghiero dell'immensa panoramica iniziale sul golfo partenopeo alla sommessa, mal celata solitudine che accompagna dal finestrino del treno il giovane cineasta verso Roma di quella finale convivono allora tutti i significati di un'intima confessione mai così matura. 

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Twenty years after L'uomo in più, the delightful and still largely ignored first film of his, Paolo Sorrentino returns to the Naples where he was born and grew up. With all that this entails, and after Youth - La giovinezza (2015) which was already showing cheering signs of some rethinking in favour of an art of recollection worthy of unquestionable aesthetic enterprise.

In fact, we had not been tender with La grande bellezza, even an Oscar winner in 2013, considered by some to be his greatest film; whereas it is merely his most celebrated. Fellini is too much in the limelight, in that imprudent double thread with La dolce vita in the same Rome that we know how beautiful, exhausted and degraded it is. With even the great Servillo unwisely compared to the great Marcello we all know.

Now, however, E' stata la mano di Dio puts many cards back in their place. Only in part thanks to the divine hand of the title, which is of course Maradona's. The same hand that allowed him to score in the first place. The same one that allowed him to score one of the most forbidden and consequence-laden goals in football history.

More than Maradona, however, rightly taken up several times throughout the film to remind us how much he meant to Naples in the eighties of its first Scudetto, it is the film that tells us, and how much, about its author. Thus, in its coherent reconstruction, only partly fictionalised (and almost never polluted in the name of perhaps seductive but deviant temptations), of a sort of coming-of-age story, here it takes on the weight of an autobiographical confession, more than amusing at first, progressively heartfelt later. As the most accomplished result, at the same time joyfully amused and then dramatically experienced, of a filmography that we know is not indifferent

 First, in Sorrentino's kaleidoscopic vision that indulges with a disenchanted happiness that we feared was lost in the more authentic tones of Italian-style comedy. Then, and almost inadvertently for the viewer, in a drama that will condition the memory, right up to the lyricism of Pino Daniele that will even move the end credits. From the flattering glow of the immense initial panorama of the Neapolitan gulf to the subdued, poorly concealed loneliness that accompanies the young filmmaker from the train window towards Rome in the final scene, all the meanings of an intimate confession never so mature coexist.

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