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LA PAZZA GIOIA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 giugno 2016
 
di Paolo Virzì, con Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Valentina Carnelutti, Tommaso Ragno (Italia, 2016)
 
Nel panorama instabile del cinema italiano, Paolo Virzì occupa un posto più consolidato di quanto si tenda a ricordare. Un autore, termine abusato ma che in definitiva non si addice a tutti: padrone di un cinema che si vuole sempre popolare, che diverta, ma che non rinunci a riflettere. Che faccia satira ma non farsa. Con una voglia di analisi sociale, d'indagine dei comportamenti individuali come di quelli del tragicomico Belpaese che fa da cornice. Tutto ciò ha fatto di OVOSODO, LA PRIMA COSA BELLA, TUTTA LA VITA DAVANTI, CATERINA VA IN CITTA' o IL CAPITALE UMANO   delle opere di indubbia qualità, attente a un contemporaneo mai dimentico di certe risonanze - estetiche, sonore  dei Germi, Risi o Monicelli.

In quello che è anche e sempre un attaccamento al territorio il regista passa ora dalla Brianza di IL CAPITALE UMANO un suo sentire più da livornese, nella Toscana dove inquadra una storia in parte bizzarra, in altre rivelatrice, nell'assieme forse fin tanto riferita a quella celebre delle due celebri fuggitive di THELMA & LOUISE , di una coppia ospitata in una villa sulle colline pistoiesi riciclata a luogo di cura per donne mentalmente instabili. Due donne. La prima, a dire poco euforica, che non ha di certo abdicato ai propri sogni di grandezza da ricca in bancarotta e, forse (il dubbio fa parte del gioco), aristocratica borghese. La seconda, depressa fino a un quasi assoluto mutismo, dal passato più travagliato di ragazza madre, alla quale hanno negato la custodia del figlio.

Coadiuvato per la prima volta in sceneggiatura da Francesca Archibugi, Virzì non s'incammina per nulla per cammini tragici e pietistici. Anzi, a somiglianza delle sue due evase, inventa una road-movie più esagitata che tragica, favolistica, sempre discretamente svitata. A tratti accorata, comunque tutta sopra le righe. Con tutti i sopraccitati, preziosi ingredienti del proprio cinema; sempre partecipe alla sofferenza esistenziale delle sue protagoniste. Ma anche in un eccesso dei toni, vari scompensi e bersagli scontati che arrischiano di affogare il film nel proprio mare isterico.

Isterica di certo è Valeria Bruni Tedeschi; reduce dalle stesse manifestazioni,ma incredibilmente interiorizzate, nello splendido Ma loute di Bruno Dumont visto a Cannes. Qui, al contrario, si abbandona totalmente agli eccessi del proprio personaggio. Mai gratuitamente. Così, modo quasi disinvolto, disincantato, trasporta l'intera pellicola nella sua solitudine e disperata esigenza di comunicazione. Magnifica le intenzioni più segrete del film, relativizzandone quelle più incerte.


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