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FUOCOAMMARE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 marzo 2016
 
di Gianfranco Rosi, documentario (Italia, 2016)
 
Non è facile far coincidere i lustrini del mondo del cinema, i fastidi grassi dei festival e dei litigi critici (FUOCOAMMARE ha appena trionfato al recente Festival di Berlino) con la tragedia epocale che si sta svolgendo da anni a Lampedusa, uno degli approdi delle migliaia di emigranti in fuga dalla guerra e dalla fame. L'ultima opera di Gianfranco Rosi, uno dei documentaristi più fecondi e sensibili del nostro tempo, ci riesce in modo esemplare.

A cominciare da quel titolo: quel fuocoammare che traduce nella parlata locale le contraddizioni degli isolani, cosi generosi, senza che per questo rinuncino ad essere realisti. Che dipendono da quel mare, che da sempre li fa vivere e comunicare con il resto del mondo; ma che pure ne diffidano, esaltando un loro attaccamento alla terra. Quando il mare è agitato, quando s'infiamma come successe durante i bombardamenti del porto di Lampedusa durante la Seconda Guerra mondiale, allora è meglio affidarsi alla terra, trovare rifugio nella casa, conforto nella famiglia.

Il mare, ma solo come aspirazione a una terra. E' la scelta terribile, affrontata quotidianamente dai disperati in migrazione. Con intuizione splendida, Gianfranco Rosi ha costruito il suo film sulla medesima contraddizione. Traducendola in più modi, la cronaca e la poesia; discostandosi cosi dalla proliferazione d'immagini che ci giunge dai telegiornali, trovandoci progressivamente indifferenti. Il documentarista non può che mostrarci le immagini più crudeli dei salvataggi in mare, dell'accoglienza riservati in terra ai vivi come ai morti, senza false ipocrisie; evitando però ogni accentuazione estetica (anche se qualcuno non è d'accordo), ogni tentazione polemica o cedimento alle leggi dello spettacolo. Accoglie la confessione forse più atroce, quella del medico che, dopo tanti anni di dedizione, più non sopporta di eseguire le autopsie sui bambini.

Ma poi si avvicina, con umiltà commovente, agli abitanti quasi estranei al dramma; sono coloro che devono continuare a vivere, pur essendo costretti a condividere il proprio tempo con i morti. Rosi filma il pescatore, quasi un intruso nella drammaturgia del film, che nel buio di ogni notte s'immerge ai piedi della scogliera a caccia di ricci. O il disc jockey di Radio Delta, imperturbabile davanti al suo microfono, raccogliendo dediche e programmando canzonette. O nonna Maria, che trascorre l'inverno ricamando; mentre racconta al nipote Samuele di quanto fosse dura per i loro uomini restare per mesi in mare.

Poiché infine c'è Samuele. Che ha 12 anni, vive sugli alberi e tira agli uccelli con la fionda, soffre il mal di mare, e non sa nemmeno remare. Un contemplativo, con le sue inclinazioni, come quando finge di sparare al cielo; ma che si sta aprendo a quanto gli sta attorno. Con il suo occhio pigro, una debolezza che gli consigliano di curare con una benda; e che agli autori del film serve come metafora per un'altra miopia, quella della parte del mondo più fortunato. Samuele e le sue piccole sofferenze: vicine, e così lontane da quelle indicibili delle masse in migrazione.

Grazie all'adolescenza un pò lunare di Samuele, assai più sottile che nel precedente SACRO GRA premiato con l'oro a Venezia, Rosi affina la linea sempre più indistinta che separa il documentario dal cinema di finzione, affronta la realtà riuscendo a circoscriverla con il suo umanesimo nella fantasia, si confronta alla disperazione, riuscendo ad evadere nella commedia. Per più di un anno è vissuto accanto a quei due mondi di Lampedusa, e si vede: " Le immagini dell'Olocausto giunsero più tardi, il mondo poteva dire di non sapere. Oggi ciò non è più possibile."


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