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IL VENTO CI PORTERÀ VIA
BAD MA-RA KHABAD BORD
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 marzo 2000
 
di Abbas Kiarostami, con Bahzad Dourani e gli abitanti del villaggio di Siah Dareh (Iran, 1999)
 
IL VENTO CI PORTERÀ VIA "è" un oggetto misterioso. Che di questa sua natura straniante, fatta apposta per disorientare lo spettatore, solo progressivamente decifrabile (con tutto quanto ciò implica di partecipazione, oppure chiamatela pure pazienza da parte dello spettatore) fa la propria ragione d'essere: il proprio respiro contemplativo e ripetitivo, che per taluni resterà tale, per altri si farà eventualmente poetico. Una strada nel paesaggio sconfinato, un'automobile che procede ma non secondo le convenzioni (la nostra osservazione del paesaggio è sfasata rispetto a quella dei passeggeri; di questi ascoltiamo i commenti, ma senza vederli), un ragazzino al quale il gruppo invisibile chiede il cammino, un villaggio sperduto fra le montagne del Kurdistan, un labirinto di vicoli, androni, prospettive nelle quali soltanto la cinepresa ritroverà una propria logica, qualche abitante. Chi sono, cosa vogliono, quando ripartiranno questi cittadini che sembrano in attesa di un avvenimento destinato sempre più a non - compiersi, la morte di una vecchia del villaggio? Mistero pretestuoso, in parte svelato, in parte intuito: filmare, fotografare gli originali riti funebri di quel villaggio isolato dal mondo. Ma mistero deviante, come tutto il film: perché se di filmare si tratta, il vero soggetto de IL VENTO CI PORTERÀ VIA è la vita (in tutta l'armoniosa bellezza del villaggio e dell'immenso paesaggio dorato che lo attornia: una preoccupazione estetica che non conoscevamo nel cinema dell'autore); e la morte. L'attesa di quel vento, al quale si riferisce il titolo. Attraverso gli ulivi, la vita continua, i bambini che indicano la casa dei loro amici, la terra che trema ed inghiotte; ed il sapore che non è più quelle delle ciliegie, ma delle fragole raccolte nei campi attorno al villaggio. Parafrasare gli echi ormai celebri delle tappe espressive di Kiarostami serve a comprendere quanto quest'ultima costituisca un ulteriore passo innanzi, in un processo di semplificazione espressiva che si pensava condotta all'estremo. Per filmare la vita, Kiarostami ha filmato l'assurdità che consiste nel vivere in attesa della morte. E per filmare l'assurdo ha mostrato una mela magica: che rotola per i vicoli, ma seguendo cammini capricciosi e del tutto illogici. Oppure un cittadino, costretto a correre sei volte in cima al villaggio per far funzionare il proprio telefonino. O ancora, nella sequenza più commovente del film, una giovane donna: che nasconde il proprio viso nell'oscurità di uno scantinato, mentre mesce del latte ad un uomo che la ricompensa recitandole dei versi. "La vecchiaia non è nulla", dice il medico mentre riconduce il protagonista in motoretta, nel dilagare del tramonto fra il grano maturo, "il peggio è la morte. - "Qualcuno dice che l'aldilà sia ancora più bello." - "Già, ma chi è mai ritornato a raccontarcelo?" Enigmatico ed assoluto, cosi vertiginosamente vicino al sublime da arrischiare il compiacimento, IL VENTO CI PORTERÀ VIA è l'illustrazione di quell'invito a non vivere speculando sull'ignoto.

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