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SEVEN SWORDS
(QI JIAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 settembre 2005
 
di Tsui Hark, con Donnie Yen, Leon Lai, Charlie Young, Honglei Sun, Yi Lu, So Yeun Kim, Kar-leung Lau (Hong-Kong, 2005)
 
Diciassettesimo secolo, la Cina viene annessa alla Manciuria. La dinastia Ching che è al potere, pur di evitare ogni tentativo di insurrezione vieta qualcosa che al popolo sta da sempre particolarmente a cuore, l'uso delle arti marziali. E' il pretesto del film: con il solito villaggio di contadini miserelli che non ci sta, il governo che invia i mercenari con l'intenzione di far fuori in pratica l'intera popolazione; e sette eroi invincibili, quasi sovrumani che interverranno in aiuto dei poveracci. Ed è naturalmente la trama arcinota di un film arciamato come I SETTE SAMURAI.

Ma non è questo il solo dei pretesti utili a spiegare fin dal suo titolo SETTE SPADE. Tsui Hark che, pur essendo vietnamita già vent'anni fa ad Hong Kong ha rinnovato e reso celebre tutta un'estetica basata sui combattimenti di cappa e spada, parte dall'idea che ormai, grazie a cavi di acciaio e tecniche digitali varie, dell'estetica kung fu e delle sue derivazioni postmoderne wuxia si è fatto ormai un uso raffinato ma eccessivamente sofisticato. Eppure, sostiene, quelle erano faccende di sudore e sangue; e non soltanto, come nel pur sublime LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI o in TIGRE E DRAGONE, di abilità e di grazia.

Sette, allora, come quelli di Kurosawa o degli emuli western de I MAGNIFICI SETTE di Sturges; e spade, come in EXCALIBUR di Boorman (un inglese: ma non è di certo il solo riferimento al cinema occidentale, come pure a temi contemporanei del film). " La spada e il guerriero, nel wuxia, si fanno tutt'uno; la lama prende vita e assume una connotazione spirituale". E il paradosso e la riuscita di SEVEN SWORDS sono dovuti al fatto di ritornare ad un realismo della rappresentazione: ma per sfociare nella meraviglia dell'astrazione e del fantastico. Inutile cercare di riannodare tutti i fili di quelle faccende ricavate da una tradizione e di una cultura che possiamo soltanto intuire; anche perché di cinema popolare si tratta, e non di epopea sofisticata; e di riferimenti, ad un romanzo di Liang Yu-Shen i cui personaggi verranno ulteriormente rielaborati, di gestazioni legate a serial televisivi.

SETTE SPADE va goduto negli istanti privilegiati delle sue situazioni; non nella sua progressione drammatica o in personaggi nei quali non è semplice identificarci. Caratteristica, questa. che impedirà a molti di gridare al capolavoro. Ma è all'interno di ogni singola sequenza che l'invenzione espressiva di Tsui Hark, di certo fra le più portentose di tutto il cinema contemporaneo, finisce per esprimersi con una energia senza paragoni. Dove, nel ricorso a fuoco, terra e acqua degli elementi naturali ai assiste una successione incredibile e quasi forsennata di soluzioni registiche, movimenti di macchina, tagli di inquadrature, raccordi di montaggio, dominanti cromatiche, rinvii temporali e spaziali. Se tutto ciò non aiuta necessariamente la nostra comprensione, non può non sollecitare la nostra emozione: e rilanciare all'infinito la dimensione ma anche i sentimenti di motivi forse non inediti (ma quali lo sono?) negli spazi magici del fantastico. Di un balletto magistralmente sopra le righe della normalità che ci circonda.


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