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LA DONNA DEL POLIZIOTTO
(DIE FRAU DES POLIZISTEN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 aprile 2015
 
di Philip Gröning, con Alexandra Finder, David Zimmerschied, Pia Kleemann, Chiara Kleemann (Germania, 2013)
 
Otto anni fa parlavamo di thriller dell'anima, riferendoci a IL GRANDE SILENZIO, contemplazione meravigliosa del monastero della Grande Chartreuse, vissuta per quattro mesi in assoluta solitudine con i monaci e una cinepresa. Itinerario rigoroso e umile che dallo sguardo minuzioso su una realtà sconosciuta, su un'emozione immediata e tutta documentaristica, prendeva il largo verso dimensioni sempre più spirituali. Con i rituali che evadevano in un universo che credevamo perso per sempre, quello del silenzio; in una sapiente e affascinante alternanza fra piani di astrazione mistica e ricadute su terra del tutto realistici.

Sempre scandito dallo sguardo scrupoloso di Philip Gröning, LA DONNA DEL POLIZIOTTO (Premio della Giuria a Venezia 2013) segue il cammino inverso. Si diparte dal sogno idealizzato, dall'illusione incantata e quindi astratta di una fiaba per condurre alla tensione di una realtà tutta fisica, esplicitamente materiale. Entra nello spazio (mirabilmente delimitato, nella geometria rigorosa fino all'ossessione degli interni, la recinzione claustrofobica nel quartiere periferico)) di una famiglia normale: il padre Uwe, un poliziotto biondino in perfetta sintonia con mamma Christine, incaricata d'introdurre ai misteri della natura l'adorabile bimbetta Clara. Mentre il papà collabora nel tempo libero in idilliaca condivisione nascondendo nel bosco le uova e coniglietti pasquali. L'armonia sognata, insomma: per farla derivare, con tutto il tempo concesso dai 180 minuti della proiezione, nel delirio di una violenza latente, non necessariamente mostrata, di una angosciosa interdipendenza fra tre individui, sempre meno in coincidenza con l'angelismo iniziale.

Ma quello dell'esigente regista tedesco non è tanto (o soltanto) un film sulle violenze domestiche alle donne: anche se queste acquisteranno una forza tanto più inquietante nell'immaginazione dello spettatore in quanto soltanto suggerite da allusioni e lividi viepiù evidenti. LA DONNA DEL POLIZIOTTO è semmai la cronaca terribile di una sconfitta, quella dell'amore. Della degradazione nel tempo, l'usura nella consuetudine anche appassionata e non necessariamente perversa all'interno di un nucleo famigliare. Visione negativista non di certo sfumata, che l'indubbia maestria registica dell'autore ambisce accentuare fino al parossismo radicalizzando la struttura del film: non tanto per le tre ore, quanto per la scelta di dividerle in 59 capitoli, ognuno separato da didascalie che annunciano non solo l'inizio del prossimo capitolo, ma pure la fine di quello in atto. Sono 59 pause di una quindicina di secondi, magari pure accolti dagli spettatori come istanti di tregua.

Se nel IL GRANDE SILENZIO l'implacabile e scrupolosa dilatazione di quel genere di osservazione finiva per sposare mirabilmente la serenità monacale, in una condivisione che si apriva a riflessioni consolatorie, universali e poetiche, è chiaro che in DIE FRAU DES POLIZISTEN il lento iperrealismo di situazioni identiche, i pochi squarci verso l'esterno a cogliere la continuità sovrana della natura o le apparizioni stranianti di animali selvatici non può che produrre l'effetto contrario.

Sono allora gli attori perfetti nell'ingrato compito (a cominciare dalla deliziosa Clara, interpretata dalle due gemelline Kleeman), la lucida introspezione di uno sguardo che richiama a tratti la lezione degli Haneke o Bela Tarr, certe sequenze dalla riuscita fuori dal comune a farci distinguere il film dalla brillante anche se non esattamente consolatoria dimostrazione programmatica.


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