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HANNAH ARENDT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 maggio 2014
 
di Margarethe Von Trotta, con Barbara Sukowa, Axel Milberg (Germania, 2013)
 

Ricostituzione di un preciso momento storico e filosofico, sul quale ancora si continua a discutere: lo scandalo, finito fino alle prime pagine dei giornali people di quel 1961, provocato dalla filosofa tedesca Hannah Arendt (1906-1975) che copriva per conto del "New Yorker" il processo intentato da Israele ad Adolf Eichmann. Quasi sorpresa dal grigiore di una figura fondamentale del genocidio degli Ebrei da parte dei nazisti, nel suo celebre " Eichmann a Gerusalemme - Rapporto sulla banalità del male " Hannah Arendt si espose con delle teorie ferocemente controverse; obbligando però nel contempo gli storici a intraprendere nuove ricerche in materia. Nella sua cronaca e nei testi che seguirono la Arendt vide un profilo in parte discosto da quello dell'individuo determinante nella spaventosa macchina di sterminio nazista tracciato dagli atti d'accusa e confermato dal verdetto dei giudici. Del processo che condusse alla morte milioni di vittime Eichmann non sarebbe stato che un grigio funzionario, incapace di riflettere, e non solo in nome del tradizionale "non ho fatto che ubbidire agli ordini." Il Male non nascerebbe solo dalla volontà perversa di un singolo: ma dal silenzio degli onesti. Dal rifiuto da parte dell'uomo qualunque e nemmeno diabolico, che s'impedisce di pensare: ponendosi così nella condizione di trasformarsi nel mostro. All'assunzione del rischio di relativizzare con una lettura superficiale la portata concreta e morale di uno dei più celebri criminali nazisti, la filosofa aggiunse poi l'altro argomento che gli valse il distacco di molta parte dell'opinione pubblica e dei colleghi: la "collaborazione" dell'antisemitismo latente in tutti gli strati della società germanica e nella maggior parte dei Paesi occupati. E la corresponsabilità delle vittime stesse, in particolare dei componenti dei Consigli ebrei incaricati di gestire l'ordine nei ghetti. Argomenti non solo storicamente scottanti, ma di certo non evidenti da tradurre in uno sguardo cinematografico. Classico, più vicino all'attenzione per le idee che alle invenzioni illustrative il film evolve dall'intimismo delle scene quotidiane della filosofa con il marito Heirich Blücher e l'amica confidente Mary McCarthy, ai flashback della sua celebre relazione giovanile con Heidegger, ai viaggi in Israele che si fondono alle immagini d'archivio del processo. Fino alle alle esposizioni pubbliche e quasi didattiche finali il film cerca di capire più che riuscire veramente a spiegare. A 72 anni, assente dagli schermi dal 2009 la regista tedesca privilegia da sempre le grandi figure femminili e il loro ruolo nella storia e nella società; in film d'impegno come ROSA LUXEMBURG (1985), L'ONORE PERDUTO DI KATHARINA BLUM (1975) o GLI ANNI DI PIOMBO (1981). Ci riesce una volta ancora, grazie al proprio rigore intellettuale; e alla formidabile interpretazione della sua grande attrice feticcio Barbara Sukowa.


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