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OPERA SENZA AUTORE
(WERKE OHNE AUTOR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 ottobre 2018
 
di Florian Henckel von Donnersmarck, con Tom Schilling, Sebastian Koch, Paula Beer, Saskia Rosendahl (Germania, 2018)
 

A distanza di otto anni dal mediocre The Tourist e addirittura dodici del trionfo di La vita degli altri, culminato con l'Oscar per il Miglior film straniero, non si può di certo affermare che Florian Henckel von Donnersmarck abbia abbinato all'importanza del suo nome un'eccessiva fretta nel mettere a profitto le ali del successo. Ora, però, quelle vicissitudini così coinvolgenti dell'agente della Stasi intento a spiare lo scrittore solo in apparenza ligio al regime, quell'unanimità critica così rara nei confronti di un cineasta esordiente arrischiano di confinarsi fra i ricordi.

Non che tutto sia ora buttare in questa terza Opera senza autore, cronaca di fatti più che significativi e realmente accaduti nel corso di ben trent'anni di storia tedesca. Non soltanto quelli perlomeno ambigui negli anni Sessanta della Repubblica Democratica Tedesca, che così bene erano riusciti al regista nel suo primo film; ma avviando ora il racconto nell'epoca della nascita del protagonista, quella ancora più cupa della Dresda nazionalsocialista del 1938. Per infine sfociare, in un terzo tempo, nella Germania dell'Ovest: dove finirà per rifugiarsi Gerhard Richter, oggi ottantaseienne, alla cui vita s'ispira liberamente il film.

I problemi che nascono nei 188 minuti di una pellicola forse frutto di un'ambizione eccessiva, sono che von Donnersmarck si guarda bene dal seguire, sia pure a braccio, un percorso esistenziale già complesso di per sé stesso. Quello di un tragitto che inizia all'ombra delle Gioventù Hitleriane per affrontare, trascorsa la tragica parabola nazista, i compromessi e le ambiguità imposte agli artisti in una Dresda dalla quale l'artista finirà per allontanarsi per più di 25 anni. Dopo aver scoperto a Kassel Pollock, Fontana o Morandi l'artista passerà infine all'Ovest: perfezionando così un itinerario questa volta squisitamente artistico, nella celebre, ansiosa e feconda fusione fra pittura e fotografia, realtà ed astrazione, realismo socialista e pop-art, espressionismo astratto e neo-dadaismo.

Al regista tutto ciò sembra però non bastare: introduce nuove svolte e personaggi diversamente interessanti, tocca all'inizio il tema della follia per divagare in seguito sugli incerti sentimentali con una giovane moglie, non rinuncia al suspense politico quasi d'azione con i bravi e i cattivi che aveva fatto le fortuna del suo primo film senza omettere le tinte ironiche quando si tratta di dipingere le bizzarrie che sappiamo da parte di certi rappresentanti delle avanguardie artistiche. No, decisamente lo sguardo su quelle travagliate Germanie di Werke ohne Autor non è quello di Heimat.


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