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UNDINE - UN AMORE PER SEMPRE
(UNDINE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 maggio 2021
 
di Christian Petzold, con Paula Beer, Franz Rogowski, Maryam Zaree, Jacob Matschenz (Germania, 2020)
 

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Uno dei piaceri che ricaviamo da una espressione artistica è dato dal seguire la sua progressione,  in parallelo all'evoluzione dell'autore. Così di YELLA, che già nel 2007 aveva permesso alla protagonista di vincere l'Oro alla Berlinale, o due anni più tardi di JERICHOW, che confermava la personalità della meravigliosa Nina Hoss, ecco che Christian Petzold già anticipare molti aspetti della propria visione. Già allora, la cura quasi ossessiva degli ambienti, la minuzia nella selezione fisica dei personaggi, la presenza dei commenti musicali, i silenzi che si organizzavano in fase di montaggio. Dettagli duri, anche oscuri, quasi indecifrabili: come quella Germania che faceva sempre da sfondo, assieme alla solitudine dei personaggi, che nasceva da una condizione sociale più che da una strategia consapevole .

Più tardi, LA SCELTA DI BARBARA (2012) valeva a Petzold l'Orso d'Argento, sempre a Berlino, per la Miglior Regiia. Sempre un approccio del tutto particolare alla DDR del 1980. Con una dottoressa, colpevole di aver richiesto un visto per trasferirsi nella Germania Occidentale, che si vedeva confinata in un ospedale di campagna. La sua diffidenza nei confronti del primario; che presto si tramutava in qualcosa oltre il rispetto professionale. La STASI, intanto, incombeva. Lo sguardo politico del cineasta si fondeva allora con quello dei sentimenti, superbamente integrati quando si volgevano allo splendore idilliaco della campagna circostante. E al bucolico rilassamento della condizione rurale, che contrastava in modo agghiacciante con la repressione degli individui da parte del sistema totalitario.

Giunto ora a 60 anni, Petzold sembra conservare quel proprio segreto che gli ha sempre permesso di evadere dalle urgenze contemporanee; ma questa volta in funzione di una dimensione in gran parte inedita, discretamente fantastica, destabilizzante ed ipnotica.

E' il mito di Undine, che attira gli uomini nelle acque, la ninfa immortale, impossibilitata ad evadere dalla propria dimensione, fino a quando non le riuscirà di unirsi ad un uomo. Poggiando come sempre sulla qualità dei suoi attori (Paula Beer è magnificamente velata da una trasparenza ipnotica, Franz Rogowski riconferma la coppia con lei di TRANSIT) il regista tedesco scandaglia (proprio come il palombaro nel film) le sorprendenti dimensioni che sospingono la storia d'amore verso un favolismo caro al folclore germanico come all'eco delle novelle dei fratelli Grimm,.

Un percorso straniante,  che parte dal modernismo dell'immenso plastico di Berlino, attorno al quale si ritrovano i personaggi; per volgere nell'emozione fantastica della favola subacquea. Nella tradizione attualizzata della Sirenetta di Christian Andersen, che ci guida nell'abisso insondabile dei sentimenti, nel mito romantico che sfocia nell'incandescenza della passione impossibile.

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IN CINEMAS THE BEST ACTRESS AWARD OF THE BERLINALE 2020

One of the pleasures we derive from an artistic expression is to follow its progression, in parallel with the evolution of the author. Thus with YELLA, which already won the Gold at the Berlinale in 2007, or two years later with JERICHOW, which confirmed the personality of the marvellous Nina Hoss, Christian Petzold already anticipated many aspects of his own vision. Already then, the almost obsessive care of the environments, the meticulousness in the physical selection of the characters, the presence of musical commentaries, the silences that were organised during the editing phase. Hard, even obscure, almost indecipherable details: like that Germany which was always in the background, together with the loneliness of the characters, born of a social condition rather than a conscious strategy.

Later, BARBARA'S CHOICE (2012) won Petzold the Silver Bear, again in Berlin, for Best Director. Again, a very particular approach to the GDR in 1980. With a female doctor, guilty of applying for a visa to move to West Germany, who sees herself confined to a country hospital. Her mistrust of the head doctor soon turned into something beyond professional respect. STASI, meanwhile, loomed large. The filmmaker's political gaze then merged with that of sentiments, superbly integrated when they turned to the idyllic splendour of the surrounding countryside. And to the bucolic relaxation of the rural condition, which contrasted chillingly with the repression of individuals by the totalitarian system.

Now in his 60s, Petzold seems to be keeping that secret which has always allowed him to escape from contemporary urgencies; but this time in function of a largely unseen dimension, discreetly fantastic, destabilising and hypnotic.

It is the myth of Undine, who lures men into the waters, the immortal nymph, unable to escape from her own dimension until she manages to unite with a man. Relying as always on the quality of his actors (Paula Beer is magnificently veiled by a hypnotic transparency, Franz Rogowski reconfirms the couple with her of TRANSIT), the German director plumbs (just like the diver in the film) the surprising dimensions that push the love story towards a fairytale dear to Germanic folklore and to the echo of the Grimm brothers' tales.

An alienating journey, which starts from the modernism of the immense Berlin model, around which the characters meet, and turns into the fantastic emotion of the underwater fairy tale. In the modernised tradition of Christian Andersen's Little Mermaid, which guides us into the unfathomable abyss of feelings, into the romantic myth that flows into the incandescence of impossible passion.

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