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MELANCHOLIA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 ottobre 2011
 
di Lars von Trier, con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, John Hurt (Danimarca, 2011)
 
Come una mela a seconda dei gusti deliziosa o passita, l'ultimo film del controverso regista danese è come spezzato in due. Tra l'uomo e l'artista, tanto per cominciare. Autore a Cannes, il primo, di dichiarazioni su Hitler da far dubitare non solo del suo buonsenso. E capace, il secondo, di proporre nel giro di pochi mesi una specie di redenzione artistica nei confronti del film precedente, l'orripilante ANTICHRIST: dove, nel giro di poche sequenze, gli era riuscito di sprofondare (ancora la sua doppia natura?) da un prologo di commovente e introspettiva umanità a una insopportabile mattanza trash e nemmeno grottesca.

State a vedere quanto riesca a destabilizzarvi, potrebbe essersi chiesto il mefistofelico e forse di conseguenza fumoso danese: eccovi servito questo MELANCHOLIA, riflessione anche accorata come proclama il suo titolo, priva di provocazioni e speculazioni su un avvenimento che giocoforza ci concerne tutti, una fine del mondo piuttosto imminente. Cosi, tanto ANTICHRIST passava da una serena e emozionata immersione nell'ordine naturale delle cose ad un grand guignol ai confini del sopportabile affibbiato alla malcapitata Charlotte Gainsbourg, quanto in MELANCHOLIA il tragitto sembra invertito: dal paradosso brillante, discutibile e non proprio inedito (FESTEN, per restare ai danesi, ma Altman, Demme, senza scomodare Bergman) di una sfarzosa, allegrotta ma subito isterica festa matrimoniale a una lunga, dolorosamente introversa, magari un filo tediosa riflessione sulla fine apocalittica del nostro pianeta.

Mostro a più teste dalla fatalità incombente, il film svela subito le sue carte (rinunciando cosi ad ogni effetto di suspense) in un big bang che fa da prologo: esteticamente sopraffino, tanto da reggere il confronto con quello del TREE OF LIFE di Malick, con la pittura di Bruegel sorprendentemente indagata al rallentatore, cavalli che crollano esausti nelle tinte care alla pittura del romanticismo tedesco, l'eco sovrumano del Tristano wagneriano (che forse andava dosato per non arrischiare la strumentalizzazione). Ma non è di certo nella misura che Lars von Trier va scovato: nichilista per eccellenza negli umori, pittore d'ambienti sublimi non appena esce a invadere spazi meravigliosi, finalmente dimentico delle proprie nevrosi e depressioni, non stupisce di certo che il suo matrimonio divertito solo per un attimo finisca tra ipocrisie, cattiverie e menzogne. Strali piuttosto spuntati, nei confronti delle iettature abituali, famiglia e borghesia, insoddisfazioni sessuali e prevaricazioni di classe. Per dilatare infine i tempi a sapiente dismisura quelle indagini dell'animo femminile predilette dai tempi di BREAKING THE WAVES: la sposa Justine (Kirsten Dunst) e la sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) accompagnate nelle loro contrastanti e non sempre evidenti reazioni, fino all'impatto fatale con il nostro pianeta di quella seconda luna Melancholia che ci doveva soltanto sfiorare.

Due pianeti, due sorelle, due parti precedute da un prologo: in un film che sembra fatto apposto per sdoppiarsi e dividere. Con immagini sublimi (gli esterni in generale, le piccole mongolfiere che s'innalzano nel cielo non ancora nemico, il bagno di luna ormai mortale al quale si offre il corpo sontuoso di Justine, la grandine che sommerge la disperazione di Claire), parentesi saggiamente semplici e contemplative nella ricerca di una soluzione espressiva dell'apocalisse, oppure vizietti di lusso di un cineasta capace di esasperare altrettanto dei capricci della sposa Justine?


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