Non sarà facile un giorno fare un discorso compiuto su Lars vonTrier, tanto l'artista con le sue occasionali ma straordinarie intuizioni espressive si confonde con l'uomo dall'abnorme magnificazione del proprio io. Un cineasta capace delle più disparate invenzioni, al quale risulta impossibile misurare la propria misantropia, il proprio bisogno di parlare di sé in favore, se non di un umanesimo, di una condivisione con i personaggi e le situazioni dei suoi film. Sforbiciato dai produttori, ridimensionato da cinque ore e mezza a poco più di quattro, sacrificata nel numero dei capitoli l'evidente ambizione al romanzo filosofico e, soprattutto, preceduto da una dichiarazione dell'autore che "riconosce come autentica solo la versione integrale ma non si dissocia (sic) da questa", NYMPHOMANIAC 2 risulta quanto meno sbilanciato. Cupo e straziato, quasi didatticamente descrittivo, dopo il non sento più niente che chiudeva la prima parte, l'impresa è ormai tutta consacrata agli sforzi di una encomiabilmente introspettiva ma forse perplessa Charlotte Gainsbourg per accedere a una reazione del proprio sesso. Inteso anatomicamente. Forse, anche alla gioia del piacere, di una raggiunta serenità. Tentativi sempre più radicali, che allo spettatore risulteranno impegnativi, in particolare quelli masochisti. O protratti: la conversazione fra la "ninfomane" e il comprensivo confessore, forte di una erudizione che qualche malizioso ha definito wikipediana. Molta più filosofia spicciola che illustrazioni visionarie (anche se in pochi sanno filmare la natura come il regista danese). Più la tentazione del nichilismo che il tentativo di comprensione.