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NYMPHOMANIAC 1 Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 aprile 2014
 
di Lars von Trier, con Charlotte Gainsbourg, Stacy Martin, Stellan Skarsgard, Christian Slater, Uma Thurman, Shia LaBoeuf, Willem Dafoe (Danimarca, 2013)
 
Costituisce un caso a sé l'uomo, ma anche tutta l'opera di Lars Von Trier. Capace, il primo, di farsi espellere a vita dal Festival di Cannes (escludendo così da un premio assicurato il suo apocalittico MELANCHOLIA) per aver dichiarato in conferenza stampa di capire Adolf Hitler. In quanto alla seconda, di sfociare ora in un film porno: quattro ore presentate in due episodi separati, che il regista ha raccorciato a malincuore da una versione presunta integrale di 5 ore e 20 minuti che non vedremo forse mai.

I porno sono i film peggio girati al mondo, sarebbe il pretesto annunciato dall'autore. Anche se poi NYMPHOMANIAC 1 non differisce molto, nel bene come nel male dalle opere precedenti del cinquantasettenne regista danese: ingiudicabili, incostanti, provocatorie, convenzionali, originali, fumose, eccitanti, noiose. Diverse, questo è difficile negarlo, da quanto ci propone l'abituale e non sempre siderale sovrapproduzione cinematografica.

Niente di particolarmente pruriginoso, meglio saperlo, perlomeno in questo primo episodio: più libertino che licenzioso, forse filosofico ma non esattamente voyeuristico. Con la sua storia, suddivisa in capitoli e ritorni nel tempo come in un romanzo tradizionale d'iniziazione, narrata in prima persona da un'ammaccata e particolarmente scontrosa Charlotte Gainsbourg, che viene soccorsa sul selciato di un lugubre vicolo da un anziano, saggio e sicuramente casto signore (Stellan Skarsgard). Racconterà la propria esperienza di presunta e sicuramente depressa ninfomane (interpretata in questo primo episodio giovanile dal viso pulito dell'esordiente Stacy Martin), immersa in un ambiente smunto quanto la poverina, a un ascoltatore pronto a sfrondare la natura eventualmente patologica di quelle vicissitudini. Soprattutto, a evitare di darne un giudizio morale.

Misogino? Misantropo, piuttosto: Lars von Trier rifà ciò che fa (talvolta genialmente) da sempre, parlarci all'infinito di sé stesso e delle sue nevrosi, piuttosto che dei personaggi che transitano nei suoi film. Quando ci ripensa, quando rinuncia a spiegare le proprie turbe il film s'impenna: come in quella sequenza finalmente liberata, con una sorprendente Uma Thurman nei panni crudeli ma parodistici di una delle infinite consorti tradite. Poi torna a rifugiarsi nei propri giochetti filmici, numerazioni aritmetiche tradotte in grafica, suddivisioni con lo split screen, inserti vari e citazioni musicali. Nascono anche intuizioni espressive mirabili: una pesca alla mosca incantata, con le sue strategie a dir poco maliziosamente accostate a quelle dell'adolescente intenta a inanellare la sua serie bulimica, masochista e ahimè raramente godereccia di prede. O, ancora, l'analisi saggia e spettacolare di una struttura polifonica di Bach, per istruirci sulle le vie che conducono all'orgasmo...


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