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LA TRIADE DI SHANGHAI
(SHANGHAI TRIAD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 maggio 1995
 
di Zhang Yimou, con Gong Li, Li Baotian (Cina, 1995)
 
Gong Li
Zhang Yimou dopo la sorprendente parentesi "neorealistica" di LA STORIA DI QUI-JU, e da quella vicina al romanzo popolare di VIVERE! è tornato alle atmosfere raffinate, stilisticamente sublimate che l'avevano reso celebre. E questo film sulla Shanghai della Mafia anni trenta gli appartiene di diritto: perché l'epoca e la sua (splendida) ambientazione non sono che il pretesto per uno di quei ritratti che gli sono tipici, ed il tema che non si è stancato di coniugare finora: quello di una donna sacrificata, umiliata dai costumi e dalla tradizione, che progressivamente prende coscienza di qualcosa che avviene accanto a lei. Un individuo prigioniero di un sistema arcaico che accede cosi ad una sorta di modernità. Come sempre Zhang ci mostra l'ingranaggio del sistema, con una precisione quasi documentaristica. In SORGO ROSSO i costumi rurali, in JU DOU quelli artigianali, in LANTERNE ROSSE il concubinaggio. Come qui: tolto che la concubina appartiene stavolta al capomafia. E la meccanica è vista attraverso gli occhi di un ragazzo, il nipote del gangster che viene portato dalla campagna in città per servire la Bella del Padrone. O se preferite, visti i molti rimandi al noir dell'epoca d'oro americana,, la Pupa del Gangster:

Da questo tipo di ricostruzione minuziosa della realtà (il regista non mostra mai la violenza, ma il suo eco; e basta a creare una dinamica che ricorda quella di Scorsese) Zhang Ymou passa come sempre alla stilizzazione, all'astrazione: il Padrone, la Concubina ed il ragazzo vengono trasportati su un'isola, per sfuggire alla violenza della lotta fra le gang. Ed il regista costruisce di nuovo una di quelle sopraffini dimensioni formali, coloristiche, musicali delle quali sembrano detenere il segreto: una specie di Eden espressivo nel quale il mutamento dei suoi protagonisti deve poter essere recepito come universale ed eterno. Come un itinerario celestiale, ma al tempo stesso accessibile a qualsiasi mortale.

La commozione del tema, l'apprendistato umano che finiscono per unire l'altera concubina al ragazzino imbranato, destinato ad abbassere gli occhi per tutta la vita, acquistano allora una forza ed una genuinità innegabili. E se il film non rimarrà tra i capolavori dell'autore è per alcuni vuoti nella sceneggiatura (più volte rifatta, in seguito all'intervento dei censori nazionali): che si attarda - specie nella prima parte che dipinge Gong-Li nelle vesti di una cantante di cabaret un po' goffa - diluendo la tensione e la densità del messaggio.


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