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NOTTI DI EBBREZZA PRIMAVERILE (CHUN FENG CHEN ZUI DE YE WAN) Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 maggio 2009
 
di Lou Ye, con Qin Hao, Chen Sicheng, Wei Wu (Cina, 2009)

Lou Ye non è nuovo a Cannes. Dove, dopo aver girato di nascosto per le strade di Shangai un SUZHOU RIVER che avrebbe vinto a Rotterdam e provocato la sensazione a Parigi già nel 1999, aveva infatti presentato successivamente PURPLE BUTTERFLY e SUMMER PALACE. Regolarmente proibiti in patria, non fosse perché incollato alla storia dei sanguinosi conflitti in Manciuria con i giapponesi, il primo; e a quella più recente dei fatti di Tiennammen, il secondo. Già allora la passione amorosa: ma di pari passo con l’apprendimento della coscienza politica, in un cinema ancora disordinato, ma animato da una generosità manierista, da un’irruenza giovanile che aveva sedotto il vostro cronista. Qui, è rimasta la passione. Nasce da un triangolo gay: il che non può non comportare qualche inconveniente, non fosse che per il fatto che proprio il meno armato alle emozioni forti (suscitate dalle lunghe ciglia di un insegnante con l'hobby del karaoke nel locale per transessuali) si ritrova regolarmente maritato. Triangolo, poi quadrilatero, quando ai tre si aggiunge, con tanto di fidanzata, il fotografo incaricato dalla moglie tradita di cogliere in fallo il consorte. Contemplativo e stirato: non fosse per la difficoltà, perlomeno per lo spettatore occidentale, di raccapezzarsi fra le fisionomie. Insomma chi, come scrive la sempre arguta Natalia Aspesi, sodomizza chi.

Compiacimento, quando non si ha a disposizione uno script solido? Che a un cineasta cinese sia stato concesso di mostrare amplessi tanto espliciti rimane l’unico mistero del film. Se non fosse però noto che a Lou Ye, appena uscito da quattro anni d'interdizione di filmare in Cina, i mezzi sono stati messi a disposizione dalla sempre ecumenica produzione francese. Forse anche per questo, dietro il talento impressionistico di Lou Ye, dietro quel suo modo di accostarsi a fior di pelle ai personaggi, sullo sfondo di un ambiente cui riesce talora di esprimere la propria malinconia meglio che ai personaggi che lo popolano (colti a Nankino, con una evidentemente leggera camera digitale) sembra di rivedere certi film della Nouvelle Vague, primo fra tutti, seppure etero, il consistente JULES ET JIM.    


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