Maestro nel rovesciamento delle realtà acquisite, nella manipolazione dell'intimo grazie al gioco sottile delle cronologie, della specularità degli spazi e delle luci, delle sonorità cromatiche, il regista canadese non poteva adagiarsi sulle convenzioni dell'opera di commanda. Ed ecco allora modificata la sceneggiatura con un dettaglio non proprio da poco: sarà la moglie ad essere sedotta a sua volta dalla giovane prostituta. Al cineasta sarebbe cosi permesso di giocare sulle predilette ambiguità nel gioco della seduzione e del desiderio, della colpa nei confronti dell'innocenza.

L'operazione riesce a metà. Fin quando si tratta d'inseguire smarrimento e determinazione sul viso della sempre bravissima Julianne Moore; o quando si tratta di confrontarla con la giovane impudenza (a sua volta vittima del desiderio?) di Amanda Seyfried. Ma la laboriosità dello script finisce per avere il sopravvento, fino a concludersi nella grandiloquenza e inverosimiglianza alla ATTRAZIONE FATALE; peggio, nel moralismo dal quale voleva fuggire.