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LANTANA
(LANTANA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 settembre 2002
 
di Ray Lawrence, con Anthony La Paglia, Barbara Hershey, Geoffrey Rush, Kerry Armstrong (Australia, 2001)
 
Lungi dall'essere perfetto o addirittura trascendentale (come forse ambirebbe); ma LANTANA è un film col quale riusciamo ad entrare in sintonia. Per via del suo regista, innanzitutto, Ray Lawrence (apparentemente silente dal 1986 di BLISS), che sa muoversi con una mano che lo distingue dagli imbrattatori che sappiamo: eleganza di un approccio formale meditato, ritmi allentati che permettono di riflettere sulle reazioni di un gruppo di attori sensibili e ben diretti, costruzione di una struttura ambiziosa ed impegnativa, che il montaggio rispetta e valorizza nel suo crescendo drammatico. Poi, per le solite osservazioni su un cinema come l'australiano: che affonda in quella natura prepotente come nelle psicologie debordanti dei personaggi, mette i loro eccessi in relazione, ne trae motivi d'inquietudine (sempre utili in questo genere di thriller) quanto di consolazione, di indagine dell'intimo se non proprio di poesia. Di atmosfere, comunque, che finiscono per imporsi come un motore essenziale di un racconto che si fa cronaca di una realtà suburbana. Ci dice infine, LANTANA, che, Australia o meno, tutto il mondo è paese; e che fra tutte le gioie e dolori che ci stanno attorno, quelli della coppia rimangono privilegiati per ricamarci non solo pettegolezzi. La storia è infatti quella di una psichiatra (una Barbara Hershey meno a suo agio del solito) che vede il proprio rapporto di coppia distrutto dal dramma della morte di una figlia. Il fatto che essa abbia avuto come paziente la moglie di un investigatore (Anthony LaPaglia, sapientemente ciondolante tra l'intuizione della propria mediocrità e la fatica di riscattarsene) permette al film di organizzarsi a ventaglio (un po' come succedeva, fatte le debite proporzioni, in certi film corali di Altman) in un intrico di misteri di coppie addette, chi più chi meno allegramente, al massacro.

Peccato, per il film, che molta di questa voglia di indagare (psicologicamente, più che poliziescamente) finisca quasi sorprendentemente nel puritanesimo: che affonda in una colpevolezza di comodo (la carne, la carne!) una struttura che da articolata arrischia di apparire artificiosa.


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