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PICNIC AT HANGING ROCK Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 ottobre 1993
 
di Peter Weir, con Rachel Roberts, Dominic Guard (Australia, 1975)
 

 Ma dove sono scomparse le collegiali in gita? Non solo un film sul mistero, e nemmeno sulla magia, sull'inquietudine, sull'insondabile. Quanto sul contatto con la natura: uno dei grandi temi di un cinema tutto da scoprire, quello australiano. Il contatto con la natura che è ancora la linea che divide la classe inferiore, quella indigena, dal culto classista e formale dei colonizzatori anglosassoni D'acchito, un film in pratica di un esordiente s'impone cosi come un punto di riferimento imprescindibile di quel cinema e delle sue tematiche. Peter Weir, uno dei più giovani, e già citato im quel 1975 come un piccolo maestro del cinema fantastico. PICNIC AT HANGING ROCK si basa su un fatto di cronaca australiana, avvenuto agli inizi del secolo. Nel giorno di San Valentino, un gruppo di studentesse di un collegio situato ad una sessantina di chilometri da Melbourne, organizzò una scampagnata nei pressi di Hanging Rock, pittoresco quanto inquietante gruppo roccioso. Alcune delle collegiali non fecero mai ritorno. Ed il mistero rimase insoluto. A Weir, Io scopriremo anche nelle sue opere seguenti, il mistero interessa sì, ma in chiave fantastica, metafisica. Cosi, film inizia nel collegio diretto dalla truce Rachel Roberts (l'infermiera del VOLO SUL NIDO DEL CUCULO). Ma l'anima, lo si comprende subito, sta in quella regina Vittoria il cui ritratto domina il refettorio. Ancor più del ritratto, è il suo spirito, il ben noto rigore, il trionfo del conformismo, la repressione degli istinti in nome del comportamento esteriore, la salvaguardia della forma. E, alla forma, il film concede molto. Le adolescenti in eterno girotondo, l'immacolato splendore dei vestiti bianchissimi, il sole nei capelli, la femminilità repressa, la sensualità adolescenziale che traspare in un solo ricciolo rimosso. Siamo in apparente estetismo alla Hamilton; ma Weir, fortunatamente, non è nemmeno Just Jacklin. Uscita finalmente in carrozza per il picnic in questione, la scolaresca si ritrova sotto le rocce misteriose. E quattro di esse, dapprima accaldate, poi scalze, infine soggiogate dal contatto con una natura a loro sempre negata, si arrampicheranno verso l'alto. Per scomparire, definitivamente. Il film non tenta di spiegare il mistero. Immerge le rocce nel fantastico e, soprattutto, apre rapite strade all'interpretazione della magia. L'evasione, il privilegio della fuga nella natura e nella verità è concesso soltanto nella purezza; è in quella sola dimensione che vengono rimesse in discusssione tutte le certezze che ci sono state trasmesse dalla razionalità. Mentre il ritorno alla madre-patria è invece inteso come ritorno alla facilità materialistica. La quarta ragazza, quella che non ci crede, che rifiuta di accedere allo stato di grazia, è rigettata dalla montagna. E così una seconda, ritrovata alcuni giorni più tardi. La vedremo ritornare al proprio mondo di futilità sociali, annunciare il proprio ritorno verso la lontana Inghilterra, simbolo di un ambito recupero materialistico. Come in tutto il cinema australiano ambientato nella prima metà del nostro secolo, anche questo film di Peter Weir sottolinea continuamente il contrasto fra la classe inferiore del Paese, tradizionalmente vicina alla natura ed alla comprensione per l'uomo, e quella introdotta dalla colonizzazione anglosassone, portata alla differenziazione classista, al culto della forma e dell'ipocrisia, al rigetto del naturale. La scomparsa delle ragazze non è quindi soltanto fonte di mistero: rappresenta l'inizio del crollo di un sistema, rappresentato dal collegio. E la critica sociale, cosa assai insolita in un film del genere, si allea alla poesia del magico per denunciare l'ingiustizia e la grettezza. Meno crudele di Brian de Palma, ma anche meno futile di certi suoi colleghi occidentali, Peter Weir fa del cinema per certi versi accademico. Ma non gli si può negare la volontà di rimanere con i piedi ben piantati nella propria realtà sociale. Il tutto, senza rinunciare a quella che è la sua particolarità essenziale: l'arte di trasformare l'atto quotidiano e la natura in un momento magico e poetico: espresso con una sensualità dirompente, in un film insolito e assolutamente affascinante.


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