COME PIETRA PAZIENTE (SYNGUE SABOUR) |
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di Atiq Rahimi, con Golshifteh Farahani, Hamid Djavadan, Massi Mrowat
(Afghanistan - Francia, 2012)
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Alla periferia di Kabul, tra incursioni armate e micidiali deflagrazioni una giovane donna veglia il marito in coma, incosciente di quanto gli sta accadendo attorno. Un talebano, al quale la protagonista era stata costretta in matrimonio: un estraneo, temuto, quasi sempre assente. Ma con cui la protagonista, mettendo a profitto una situazione di per sé stessa tragica, potrà per la prima volta parlare, confessando in un lungo soliloquio le umiliazioni subite in un universo di maschi. Così come le proprie inconfessabili rivincite, prime fra tutte quelle legate al desiderio e all'infedeltà. E' la pietra paziente del titolo, quella con la quale il Corano consiglia di confidarsi in una sorta di psicanalisi, finché questa, esplodendo, permetta al fedele di liberarsi. Afghano immigrato in Francia e vincitore con questo suo romanzo del Prix Goncourt 2008, Rahimi è al suo secondo lungometraggio: girato praticamente fra le quattro mura della povera abitazione, interrotto soltanto dalle improvvise irruzioni di soldati solitamente malintenzionati, ma illuminato dalla presa di coscienza che s'indovina sul viso magnificamente espressivo dell'iraniana Golshifteh Farahani ( A PROPOSITO DI ELLY): una progressione che si legge con un'evidenza maggiore di qualsiasi perorazione. Immagini immerse nella luce splendida di quegli ambienti circoscritti, tutte in contrasto con gli squarci realistici degli esterni, che uno dei grandi fotografi del cinema francese come Thierry Arbogast libera da ogni sospetto di decorativismo per farne manifesto, implacabile nella sua intimità, sulla condizione femminile, sulle esigenze insopprimibili del desiderio all'interno dell'oscurantismo più agghiacciante.
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Il film in Internet (Google)
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Per informazioni o commenti:
info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch
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