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BALLOON
(QIQIU)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 dicembre 2020
 
di Pema Tseden, con Sonan Wangmo, Jinpa, Yangshik Tso (Cina, 2019)
 

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Il mondo del cinema è da prendere o lasciare. Del tibetano autore ormai giunto al suo decimo lungometraggio e quasi ovviamente in difficoltà con le autorità cinesi a partire dal suo quarto film Tharlo (2015), della forte personalità di Pema Tseden ci si ricorda solo ogni tanto. Come nel 2018, quando vince con Jinpa il premio per la Miglior Sceneggiatura di Orizzonti.

Eccolo allora ritornare a Venezia, un anno dopo. E per molti Balloon, più conseguente del precedente ma come sempre deliziosamente a cavallo fra trascendenza buddista e uno sguardo sulla realtà fisica di una terra dai perduranti echi antichi, rappresenterà la sorpresa di quell'edizione della Mostra. A cominciare da quei palloncini del titolo, che altro non sono che dei preservativi. Utilizzati per giocarci, una volta gonfiati dai tre figlioli di Drolkar, alla faccia della politica del figlio unico cara al sistema politico.

Raccontato così, Balloon pare un affresco giocoso sul tema del controllo delle nascite  affrontato da tempo dal cinema cinese. Ma quella del regista è una cinepresa primitiva, capace di sondare i personaggi. Che si appropria degli ambienti, con un'attenzione etnografica, ma con un tatto in direzione del meraviglioso, Tseden si accosta a quella cultura antica, rendendola toccante. Certo, questo arrischia di avvenire a scapito di qualche tentazione di troppo nella seduzione delle immagini. Ma a risultare vincente è sempre l'autenticità dell'emozione.

Questa finirà per evolversi progressivamente nell'immensa pianura dei pastori di pecore, quando verrà a mancare il nonno. La reincarnazione del buddismo tibetano, quella che vuole la trasmissione di un'anima da un essere vivente a un altro, non potrà allora che scontrarsi con le contraddizioni orami dominanti del neo capitalismo cinese. E sarà allora la schiva Drolkar, una volta ancora incinta, a confrontarsi con i dogmi della tradizione e una modernità che fatica ad affermarsi in quegli spazi immensi, fra quei palloncini in volo.

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The world of cinema is take it or leave it. Of the Tibetan auteur now in his tenth feature film and almost obviously in trouble with the Chinese authorities since his fourth film Tharlo (2015), Pema Tseden's strong personality is only occasionally remembered. Like in 2018, when he won the Best Screenplay Award at Orizzonti with Jinpa.

Here he is then back in Venice, a year later. And for many, Balloon, more consequential than its predecessor but, as always, delightfully straddling the line between Buddhist transcendence and a look at the physical reality of a land with enduring ancient echoes, will be the surprise of that edition of the Venice Film Festival. Starting with the balloons of the title, which are nothing more than condoms. Once inflated by Drolkar's three children, they are used to play with, in defiance of the one-child policy so dear to the political system.

Told in this way, Balloon seems to be a playful fresco on the issue of birth control, which has long been addressed by Chinese cinema. But the director's is a primitive camera, capable of probing the characters. Taking possession of the environments, with an ethnographic attention, but with a tact in the direction of the marvellous, Tseden approaches that ancient culture, making it touching. Of course, this risks coming at the expense of a few too many temptations in the seduction of images. But the winner is always the authenticity of the emotion.

This will gradually evolve in the immense plain of the sheep herders when the grandfather dies. The reincarnation of Tibetan Buddhism, which calls for the transmission of a soul from one living being to another, can only clash with the contradictions now dominating Chinese neo-capitalism. And so it will be the shy Drolkar, once again pregnant, who will have to confront the dogmas of tradition and a modernity that struggles to assert itself in those immense spaces, among those balloons in flight.

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