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FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO 2016:: DUE PERLE IN PIAZZA (2)
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 agosto 2016
 
(2016)
 

Il 69mo Festival del film di Locarno ( 3  13 agosto) DUE PERLE IN PIAZZA Vi scriviamo dell'avvio. Dopo quello che per alcuni ha rappresentato un discreto e insolito colpo allo stomaco, l'esordio in Piazza con THE GIRL WITH ALL GIFTS di Colm McCarthy. Parte dell'abituale, strabordante platea non ha gradito l''inaugurazione con un film di zombie; si può anche condividere, perlomeno in termini di marketing, ma dopotutto non è scritto da nessuna parte che si debba aprire le danze con babbo natale. Tratto dal romanzo accolto benissimo di Mike Carey (autore di graphic novel e pure sceneggiatore del film) il film può essere apprezzato come relativizzato. Questa sua faccenda con un'umanità confinata in pochi sobborghi sconquassati di Londra e circondata da una moltitudine di morti-viventi che si risvegliano al minimo sentore di carne preferibilmente umana è costruita con savoir faire scenografico; e minore sapienza nella progressione drammatica. Bravi e ben diretti gli attori, specie l'esordiente Sennia Nanua, la ragazzina trattenuta dalla sua affettività, ma che ha già compiuto un passo verso quell'aldilà più o meno futuribile. Risulta invece più incerto e significativo il film è proprio nella sua maggiore ambizione, quella di distaccarsi da certe convenzioni dell'horror. Per centrare certi interrogativi che appartengono ad un nostro presente già di per sé stesso carico d'incerti: quanta fiducia siamo in grado di concedere a chi è diverso da noi, come affrontare il solco che separa la pietà dalla ragione? * * * Locarno 2016, l'abbiamo detto, è più che mai un festival da scoprire. Ma per chi vuol andare sul sicuro due film nei prossimi giorni s'impongono. Recente il primo, di Ken Loach, da giovedi 11 agosto in Piazza, fra i più acclamati a Cannes. Repertoriato nei nostri archivi, il secondo (da venerdi 12 agosto), nella nostra recensione su AZIONE del 27 settembre 1990. Quando il mondo del cinema aveva solo intuito quanto l'Abbas Kiarostami del Pardo di Bronzo di quell'anno avrebbe rappresentato nell suo futuro. *** I, DANIEL BLAKE, di Ken, Loach, con Dave Johns, Hayley Squires, Briana Shann (Gran Bretagna 2016) ll più grande fra i cineasti politici e sociali l'aveva promesso, dopo il deludente JIMMY'S HALL di un anno fa: sarebbe stato il suo film. A 80 anni, dopo 25 film dall'impegno umanistico indimenticabile. C'è voluto I, DANIEL BLAKE perché cambiasse idea. Un film disperato, Non solo indignato, come quelli che lo hanno preceduto. I protagonisti di tutti i film di Ken Loach hanno lottato, quasi sempre invano, per ritrovarsi ai piedi di un muro. Un ostacolo invalicabile eretto dal sistema sociale nel quale vive anche l'uomo animato dalla migliore delle buone volontà. Daniel Blake (Dave Johns, da Palma d'Oro) è uno di questi. Falegname sessantenne a dir poco onesto, deve ricorrere all'assistenza sociale per una rendita d'invalidità. Ma poiché si tratta della prima volta, la trafila burocratica non gli è chiara; né tanto meno l'uso ormai tassativo del computer. Scadono così i termini del suo tentativo. Eccolo allora costretto, nell'attesa altrettanto laboriosa dei risultati dell'appello contro quella decisione, di fingere di ricercare un lavoro. Ma, come potrà accettarlo - ammesso di trovarlo - quando è il suo medico stesso a proibirgli di lavorare? Daniel è animato da una fede totale nelle istituzioni del proprio Paese: ma si accorgerà presto di ritrovarsi travolto in un circolo vizioso. Ogni sua iniziativa non farà che creare nuovi ostacoli. Mai miserabilista, fino all'ultimo possibilista, a tratti addirittura comico per la straordinaria umanità del protagonista, l'atto di accusa di Ken Loach nei confronti di un sistema, progressivamente fallimentare fra le spire della crisi globale (e al quale non "conviene" che liberarsi dei pesi morti) è terribile. E così lo sconforto nell'animo dell'autore che indoviniamo ad ogni istante: soltanto allievato dai piccoli, immensi gesti di solidarietà che nascono fra i più derelitti e disarmati. Il giovane vicino (immigrato...) che traffica su internet con l'amico cinese; soprattutto la giovane ragazza-madre e i suoi due figlioli, che si vede negata dall'assurdità amministrativa l'aiuto sociale per essere giunta cinque minuti in ritardo a una convocazione. Qualcuno ha detto, un film encomiabile ma di un'altra epoca, uno stile dal realismo datato? No di certo, un grido a sostegno della dignità umana, contro un liberalismo sfrenato che ha ormai superato ogni ipocrisia. Un film dai contenuti così forti da offuscare ogni svolazzo dialettico. **** DOV'E' LA CASA DEL MIO AMICO?, di Abbas Kiarostami, con Babak Ahmadpur, Ahmed Ahmadpur, Khodabakash Defai (Iran 1989) Chi non ha mai visto questa meraviglia fa ancora in tempo a precipitarsi a Locarno dove il film iraniano, Leopardo di bronzo nel 1989, viene ripresentato nell'ambito dell'omaggio a uno dei maestri del cinema moderno, appena scomparso. Il film di Kiarostami è semplice (meglio: è uno dei massimi esempi di come si possa essere semplici e immensi al tempo stesso), diretto e sincero, proprio come il suo titolo. Il soggetto è allora presto raccontato: un bambino di un villaggio di campagna si accorge che il compagno di banco ha dimenticato - una volta ancora - il suo quaderno con i compiti da fare a casa. Poiché il piccolo amico è già in disgrazia col maestro, egli si sforza di raggiungerlo nel villaggio vicino, per consegnargli l'oggetto ed evitargli la punizione. Fedele alla regola che dice che un soggetto piccolo arrischia di volare più alto di quello grandiloquente, fedele egualmente a quell'altra norma che vuole un film praticamente riuscito se solo riesca ad accordare la vicenda con l'ambiente che le fa da sfondo, DOV'E' LA CASA DEL MIO AMICO? dovrebbe essere proiettato una volta alla settimana in ogni scuola di cinema. E, aggiungiamo, una volta al giorno in quelle dei paesi dal cinema povero (come il nostro, made in CH...). Poiché è la dimostrazione, tranquillamente strabiliante, di come con due soldi, duemila idee, ed un cuore da poeta si possa fare ciò che è impossibile, in una vita intera, a un trombone dell'immagine: avvincere con una progressione drammatica, commuovere e provocare con uno sguardo posato sul documento, trascendere la dimensione del contesto. Per uscire a riveder le stelle, della poesia. Già in quel suo modo di farlo correre, il ragazzino, sul filo del sentiero che collega i due villaggi, come lungo una traccia lasciata dal tempo. Kiarostami idealizza un itinerario (schematizzando sullo schermo, un po' come faceva Hitchcock con i suoi spazi calcolati al millimetro). E questo itinerario guiderà ormai il film, imprimendo alla rincorsa del bambino una tensione, addirittura un suspense, che l'umiltà del raccontino mai avrebbero lasciato presagire. Ma il regista iraniano non si limita a questo: come in un documentario descrive contrade lontane, costumi, psicologie diverse. Poi, come in certe ballate del cinema dell'Est, mette in bocca ai personaggi dialoghi intrisi di humour, e risposte a controsenso. Che complicano magari, stranianti come sono, la vita al nostro ragazzino: ma finiscono per spedire DOV'E' LA CASA DEL MIO AMICO?, a metà strada fra la terra, così dura da vivere da quelle parti e la luna. Che un po' della sua luce la riserva pur sempre a tutti. (Data delle recensione 27 settembre 1990)

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