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BLACKHAT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 maggio 2016
 
di Michael Mann, con Chris Hemsworth, Tang Wei, Viola Davis (Stati Uniti, 2015)
 

Americani e cinesi collaborano (fino a un certo punto) per tentare di risolvere un drammatico caso di cybercriminalità: a Hong-Kong è esploso il nocciolo di una centrale nucleare provocando panico, morti e feriti. Mentre a Wall Street, le quotazioni della soia, e più tardi quelle dello stagno schizzano a livelli folli. Troppo, perché tra le due cose non si sospetti un nesso. E all'FBI non finiscano per ammettere che ormai che la soluzione è una sola: richiedere l'aiuto di un genio dell'informatica, che però sta scontando dieci anni in prigione per una truffa di poco conto.

Nulla di stravolgente, come si vede. Anche se il Michael Mann di COLLATERAL o di NEMICO PUBBLICO non è tanto grazie i propri impianti narrativi che si è imposto come uno dei grandi del cinema contemporaneo. Ma con una trascendenza che gli permetteva di volgere la ripetitiva banalità del realismo dei suoi action thriller nell’astrazione di un mondo poetico tutto suo, senza per questo rifugiarsi nell’elitismo della ricerca. Al contrario: riuscendo una mirabile fusione tra cinema d’indagine psicologica e thriller. Tra lo spettacolo e la riflessione, la ricreazione ambigua degli ambienti confrontata con la psicologia di una vicenda e dei personaggi. Grazie a una accuratezza proverbiale nell’uso vari mezzi espressivi a disposizione. A partire dall‘immagine digitale: con quanto di più significativo si poteva estrarre dalla seducente, quanto aspra e sempre più abusata altissima definizione della tecnica numerica. E diventandone così, nella sfavillante allusione delle sue coreografie,il maestro forse massimo.

Lo scontro in BLACKHAT fra l’hacker, una sorta di intellettuale e poeta dell’informatica, e la banda stralunata di pistoleri cara al cinema di Hong-Kong (chiaro l’omaggio del film all’arte dell’azione coreografata cara a Johnnie To e Tsui Hark) costituiva una situazione ideale per Michael Mann: nella quale risolvere uno dei suoi incontri prediletti fra astrazione e materialità. Da cui la scelta di un protagonista bodybuildato e dall’espressività nulla come Chris Hemsworth? Il regista l’ha (forse) scelto proprio nella speranza di riuscire quel genere di dualismo fra spirito e materia, iperrealismo e blockbuster adrenalitico che gli è tanto caro. Ma ahimè, sulla faticosa progressione drammatica, a tratti incorniciata dagli sfondi patinati del più abusato folclore alla James Bond, tutto gli riesce solo a tratti.

Forse la verità è più prosaica. A partire dal 1992 di L'ULTIMO DEI MOHICANI il cinema così prezioso e trasceso nell'iperrealismo di Mann non ha mai goduto dei favori del box.office americano: con un thriller dagli effetti in definitiva tradizionali come BLACKHAT l'autore ha voluto ritrovare un suo pubblico. E il favore alquanto compromesso dei produttori. Ma non è vendendo la propria anima al marketing della sempre più compromessa distribuzione cinematografica che il suo dilemma arrischia di risolversi.


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