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FESTIVAL DI LOCARNO 2013 (1)
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 agosto 2013
 
(2013)
 
Il Festival di Locarno quasi alla meta

PUBBLICO IN FESTA CON QUALCHE PERPLESSITÀ'

Avvicinandosi la conclusione, attesa per le ultime pellicole spesso tenute in conserva per il botto finale (e firmate Aoyama, Kurosawa, Bressane, o ancora un cinese che ha imparato il mestiere da Hou Hsiao Hsien e Tsui Hark&), attesa per il regolarmente deprecato ma talvolta prezioso rivelatore di situazioni latenti, il palmares. Situazione confortevole, poiché confortata dal mancato obbligo alla crudele aridità del bilancio, rimandato al prossimo numero di AZIONE.

Volo non ancora ad altezza d'aquila ma che già autorizza qualche considerazione: ad esempio, che a Locarno, come sappiamo, i Direttori si defilano (a Cannes sono due da 35 anni!), ma le costanti si eternizzano. E non si tratta del giudizio negativo che qualcuno forse s'aspettava sull'ultimo arrivato, Carlo Chatrian. Al contrario: il valdostano ha conquistato alla brava il sempre più festoso assembramento estivo ( semmai, sempre più assurdamente involgarito dagli echi etilici che si sollevano fino alle prime luci dell'alba attorno alla Rotonda&) con l'intelligenza e la misura del suo basso profilo. La modestia non solo di una benvenuta rinnovata generazione, ma di una conoscenza che sembra nascere da una genuina curiosità cinefila; un tono che ha conquistato l'eterogenea platea, che ha concesso la parola più alle opere che a sé stesso, come era accaduto talvolta con qualche suo impettito predecessore.

Rimane con questo il fatto che la costante con la quale Locarno continua a confrontarsi è la mancanza di omogeneità e, di conseguenza, di ordinata lucidità nelle sue proposte: il tutto a scapito di una identità sempre più imprescindibile alla propria continuità. E' lo scotto inevitabile da pagare ad una frequentazione, volenterosa e abbondante ma quasi impossibile da definire, di chi sacrifica le vacanze per rinchiudersi nel buio a Ferragosto? O, ancora, di chi sfila davanti allo schermo della Piazza nell'interminabile e alquanto provincialotto corteo degli invitati? Tutto ciò non è imputabile ad un direttore, italiano, francese o nostrano. Locarno vive di una straordinaria partecipazione popolare, e chi ha assistito all'incontenibile condivisione di gioia e commozione fra i 3500 spettatori e gli autori al termine delle proiezioni al Fevi dei consensuali TABLEAU NOIR (***) di Yves Yersin e di SHORT TERM 12 (***) dell'americano Disten Cretton, ma anche del più accorato SANGUE (***) di Pippo Delbono o del più ostico E AGORA? (*** ½) del portoghese Joaquim Pinto avrà realizzato perché questo festival sia considerato il più popolare, oltre che il più accessibile al mondo.

Questa invidiabile e rallegrante presenza di pubblico giovane e meno giovane, cinefilo o meno, interessato o in definitiva distratto, in una gestione di spazi che varia dalla piccola sala all'adunata della piazza è pure fonte di problemi. Sono quelli legati alla programmazione di linee che possano incontrare la curiosità, se non proprio l'ostinata comprensione di tanta diversità fra i fruitori; di poterla realizzare, attingendo ad un mercato internazionale (oltretutto inflazionato, banalizzato, disorientato) forti di un potere di contrattazione che permetta di ottenere, almeno in parte, ciò che necessita a una programmazione conseguente.

Senza volere entrare nei dettagli delle opere degne di attenzione certi scompensi risaltano ancora evidenti. Se nel Concorso titoli come quelli sopra confortano assolutamente, UNE AUTRE VIE (*) di Emmanuel Mouret, TONNERRE (*) di Guillaume Brac o EXHIBITION (* 1/2) dell'inglese Hogg non si capisce esattamente come potessero entrare nel gioco. Altri ancora, BUCAREST O METABOLISMO (** ½) di Corneliu Poromboiu, EL MUDO (** 1/2) dei fratelli peruviani Vega, U Ri SUNHI (** 1/2) di Hong Sangsoo, PAYS BARBARE (***) di Gianikian, e probabilmente parte degli ultimi in proiezione entrano con piena logica in un progetto.

Potrebbe a questo punto nascere un problema: quando una selezione non riesce perfettamente omogenea, a uscirne frastornato potrebbe essere il pubblico. E il relativo concetto guida di qualità. Volendo (e riuscendo) a rafforzare il Concorso, Chatrian ha spostato fra gli Autori di questo (con alcuni di fama internazionale) i nomi più qualificati della sezione dei Cineasti del Presente. Di questa ha fatto così una rassegna un po' vaga di opere prime e seconde: del Concorso, una miscela allettante, ma pericolosa e forse esplosiva fra innovatori o sperimentatori e rappresentanti di un cinema d'Autore narrativo più o meno qualificato. Così, chi ha capito gli uni ha stentato maledettamente ad apprezzare gli altri.

L'itinerario estremamente complesso e in passato a dir poco ondivago della Piazza sembra in quanto a lui ben raddrizzato: 2 GUNS (** ½) di Kormakur è un blockbuster ineccepibile per un'apertura. E se LA VARIANTE UMANA (0) di Oliviero è solo la brutta copia della sublime commedia di Blake Edwars con Peter Sellers THE PARTY, se VIJAI E IO (*) di Garbarski non proprio all'altezza di un festival, l'altra satira, WE ARE THE MILLERS (***) dell'americano Thurber è una riuscita non solo spassosa ma un prodotto da Piazza impeccabile. In quanto ai due svizzeri, L'EXPERIENCE BLOCHER (***) di Jean-Stéphan Bron e LES GRANDES ONDES (**) di Lionel Baier hanno permesso uno squarcio di portata internazionale sulla nostra produzione che non è di ogni annata. Rallegriamoci, anche perché non è finita.

(pubblicato su AZIONE del 19.8.2013)

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