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FESTIVAL DEL FILM DI ROMA 2013 - INGEGNO E SREGOLATEZZA
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 novembre 2013
 
(2013)
 
Festival schizofrenico, era stato detto; e cosi è successo, ma non solo nel senso inteso da Marco Müller. Al quale è riuscito, sia detto subito per i più frettolosi, di cavar sale dalle rape. La flagrante duplicità della manifestazione romana (iniziata sette anni fa a colpi di decine di milioni da Walter Veltroni, poi scarrozzata a ogni edizione e mutamento di guida fra arte e caciara) è infatti solo in parte conseguenza di una condivisione pragmatica fra Festa e Festival. Che non è altro, sia detto fra parentesi,di ciò che succede dappertutto. Certo, Roma ha da un lato sfondato il tanto invocato botteghino (e assicurata forse una sua sopravvivenza) grazie alle ragazzine stridule accampate per una notte intera in attesa dell'eroina videogame Jennifer Lawrence. Riuscendo dall'altro (per l'ultima volta?) ad accostare all'urticante red carpet il sogno iniziato da Müller a Venezia in Orizzonti: inseguire con la sezione di CinemaXXI l'evoluzione recente di un audiovisivo confrontato con la crisi del consumo cinematografico e delle immagini in genere.

Ma la schizofrenia, assai più grave e meno allegramente cavalcabile dell'inventiva nell'avvicinare opere, momenti e fruitori probabilmente inconciliabili è tutt'altra. E' fra un territorio, un umore, uno spazio culturale, economico, politico non tanto negato a seguire l'impegno di un percorso del genere (una delle belle sorprese del festival romano è l'accostamento ad un pubblico dal bon ton bruschettaro all'entusiasmo di tanti giovani, forse solo ingenuamente cinefili): ma pigramente indeciso all'Idea di affrontarlo in un minimo di continuità, ordine e, in definitiva, identità.

In un quadro fatto spesso di espedienti sempre meno corrispondenti all'idea che ci si faceva sull'arte dell'arrangiarsi latina (e che finiscono al contrario per tradursi in miserie ammoscianti, ritardi endemici, griglie e orari di programmazione dissuadenti) diventa ovviamente arduo legare in un filo conduttore le diverse annate, le varie sezioni, gli stimoli dei rinvii tematici. Paradossalmente (ma qui entra in gioco l'arte dell'equilibrismo e dell'intuizione di un condottiero come Müller che non ha eguali), non tanto la qualità delle opere proposte.

A dispetto dei suoi limiti ai confini dell'autolesionismo Roma 2013, pur escludendo per difetto di ubiquità l'esplorazione degli allettanti territori dedicati alla ricerca di CinemaXXI, ha proposto picchi di eccellenza inferiori soltanto alla strabiliante edizione di Cannes nella primavera scorsa. Prova ne siano, tre capolavori, come il prequel YOUNG DETECTIVE DEE: RISE OF THE SEA DRAGON, firmato dal cinese Tsui Hark, esempio sbalorditivo di come il cinema sia ancora capace di proporre in un blockbuster tutto il proprio potere d'inventare e meravigliare. Quindi HER di Spike Jones, riflessione di una genialità folle e originale sulla nostra solitudine e sulla gratificante seduzione letteralmente amorosa offerta dall'intelligenza artificiale. E, naturalmente, HARD TO BE A GOD, allucinante testamento postumo ambito da mezzo mondo di un mito del cinema russo, Aleksej German. Appena un gradino sotto, cinque film imperdibili: l'esilarante, parodistico, costantemente creativo del giapponese Takashi Miike THE MOLE SONG - UNDERCOVER AGENT REJIIi. E OUT OF THE FURNACE, del giovane americano Scott Cooper, omaggio raffinato e commosso al grande cinema dei Cimino e dei Gray. Poi, la presenza di Jonathan Demme e la sua vertiginosa esperienza di derivazione teatrale in FEAR OF FALLING; e SEVENTH CODE del prolifico Kyoshi Kurosawa appena ammirato a Locarno; e il migliore di gran lunga dei film italiani (altro che l'assurdamente premiato TIR) in apertura di CinemaXXI, L'AMMINISTRATORE di Vincenzo Marra, immersione totale nell'umanità dei condomini napoletani come riflesso della società contemporanea. O, ancora, la sensazionle fantascienza stilistica dell'apocalittico SNOWPIERCER del coreano Bong Joon-Ho, cosi speculare all'energia eminente fisica che ha permesso a Matthew McConaughey di portarsi sulle spalle il peso della battaglia contro il virus HIV oltre che avvalersi di un meritato premio all'Interpretazione in DALLAS BUYERS CLUB, fra le poche cose logiche intraprese dai giurati. Ma questa è altra e quasi solita storia.

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