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ANNA KARENINA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 marzo 2013
 
di Joe Wright, con Keira Knightley, Aaron Johnson, Kelly Macdonald, Jude Law, Ruth Wilson, Matthew MacFadyen, Emily Watson (Gran Bretagna, 2012)
 
Sempre a sfidare progetti impegnativi, sempre dotato di un talento espressivo superiore alla norma, al cineasta inglese Joe Wright manca soltanto una cosa, riuscire il suo primo capolavoro; e raggiungere la dimensione alla quale egli con ogni evidenza ambisce da sempre, quella dell'Autore. Gli occorrerà innanzitutto mettere un po' a freno i propri entusiasmi per l'esuberanza formale; poiché la coerenza delle sue preoccupazioni è saggiamente rimasta quella che apprezzavamo nei precedenti ORGOGLIO E PREGIUDIZIO, da Jean Austen, e ATONEMENT (ESPIAZIONE), tratto dal contemporaneo Ian McEwan. La crudeltà dietro la vernice delle belle maniere, lo snobismo ipocrita che maschera la supponenza di casta, la manipolazione nei confronti delle condizioni psicologiche e sociali. Un impegno sempre ancorato alla rincorsa di una bellezza ricercata ad ogni costo, sempre con il rischio in agguato di renderla puramente decorativa; ma della quale, in definitiva, riesce sempre a sottolinearne una rinvigorante sensualità.

Di certo, non si può dire che Wright abbassi l'asticella in questa sua ultima trasposizione letteraria. Affronta spregiudicatamente un testo incomprimibile in un film, si confronta con una lettura possibilmente moderna dello spessore mitico del romanzo di Lev Tolstoj, delle sue mille pagine di ricaduta psicologica, storica e sociale, dei languori romantici del tragico mélo tra la sventurata Anna e il conte Vronsky, che il genio dello scrittore aveva immerso nella poderosa sostanza delle sue intuizioni pre-rivoluzionarie. Arrischia, prima ancora di tuffarsi nelle sue invenzioni formali, di piombare il film con la scelta dell'ufficialetto, un biondino e boccoluto Aaron Taylor-Johnson, davvero impossibile d'immaginare fonte d' irrefrenabili e duraturi scatenamenti Ritrova, in compenso, l'erotismo squisitamente profilato di una Keira Knightley non solo bellissima, ma determinante nell'attualizzare la vicenda; oltre che relativizzare (almeno in parte) gli ingombranti fantasmi che aleggiano, le tante eroine cinematografiche che immolarono il proprio legittimo desiderio all'ipocrisia sociale dell'epoca, la Greta Garbo del 1935, la Vivien Leigh di Julien Duvivier…

Se l'ANNA KARENINA del regista inglese riesce però a distanziarsi dai suoi innumerevoli precedenti e a rimanere, forse, nelle memorie è grazie alla collaborazione fra il cineasta e uno sceneggiatore come Tom Stoppard, drammaturgo magistrale, frequentatore del teatro elisabettiano, virtuoso della parola (vedi il suo ROSENCRANTZ E GUILDENSTEIN SONO MORTI , Leone d'Oro a Venezia nel 90), trascrittore originale (SHAKESPEARE IN LOVE, 1998) oltre che complice in precedenza di una manciata di capolavori firmati Losey, Fassbinder, Spielberg, Preminger. I due inventano una struttura non solo originale ma astuta, poiché permette loro di evitare il peso scontato della ricostruzione d'epoca. Di creare un distacco, evitare lo scoglio dell'accademismo, della rigida esposizione di umori che il tempo ha reso forse scontati: grazie alla scelta di una rigidità solo apparente, come quella teatrali. Le celebre vicenda invade cosi antichi palcoscenici, quinte, platee, foyer per uscirne come una specie di happening, a metà fra il circo e il musical, finta e reale, fuori dal tempo, eterna, come quelle rare uscite all'aperto, nella dimensione splendida della campagna russa.

In quella massa scenica che avrebbe potuto risultare anche soltanto greve, la cinepresa di Wright s'introduce famelica e anche creativa, con una voluttà che arrischia sempre di sconfinare in ingordigia, nella prepotenza dei suoni e delle musiche, delle scenografie e dei costumi. Una dismisura che si avvicina progressivamente a quella azzardata di un Ken Russell piuttosto che all'esplosiva ma armoniosa impudenza del Baz Luhrmann di MOULIN ROUGE. Seduce e arrischia: di distrarci non tanto dall'ardore, quanto dal destino cosi significativo della celebre eroina.


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