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FESTIVAL DI LOCARNO 2012 - UN FESTIVAL PER ESORCIZZARE LA CRISI
  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 giugno 2012
 
(2012)
 
Sarà forse un paradosso: nella crisi che stiamo vivendo il più piccolo dei grandi festival, secondo la definizione coniata dallo storico presidente Raimondo Rezzonico, possiede i mezzi per affinare le proprie armi nei confronti dei pescecani di stazza maggiore che popolano il fin troppo esteso acquario dei festival. Dalla sua nascita, il cinema è sempre stato uno degli specchi più fedeli e immediati della società : quello attuale (che ormai andrebbe definito degli audiovisivi) non può quindi che riprodurne i disagi sempre più evidenti e forse drammatici. Allo stesso modo, gli eccessi di un'offerta smodata e ormai sfuggita di mano hanno finito per condurre ad una volgarizzazione, meglio, ad una progressiva diminuzione del desiderio da parte degli esausti, assediati consumatori. Conseguenza forse irreversibile di calcoli viepiù avidi, di una sollecitazione alla facilità spiccia dell'immagine che è ormai, è il caso di dirlo, sotto gli occhi di tutti. Progressiva scomparsa delle sale (in particolare di quelle che si dedicavano al cinema d'autore), crisi nel bailamme proposto dalle televisioni generaliste a favore di fruizioni sempre più personalizzate, ma anche sempre più virtuali (la tivù a pagamento, on demand, per selezionare un minimo di qualità; ma già incombe la diffusione diretta dalla Rete). Ci spiegano che l'uso dell'immagine tenderà a ulteriormente “smaterializzarsi”: e già sembra diminuire l'uso di mezzi raffinati e in teoria gratificanti, quale è stato il Dvd o la recente, splendida qualità offerta dal Blu-ray.

In questo riflettersi nel “cinema” dello sbando generalizzato che conosciamo dovrebbero essere allora i festival, con il loro prezioso potere di aggregazione e di confronto, a costituire un'ultima spiaggia felice. Ma anche i più onnipotenti fra questi iniziano a dar segni di un'usura dovuta a formule pure loro consunte. Affidarsi in gran parte a Grandi Nomi presunti o effettivi (che arrischiano di corrispondere a eterni abbonati sempre più spesso in prudente ripetizione di universi espressivi collaudati e facilmente riconoscibili) come ha fatto di recente Cannes e si appresta a fare Venezia inizia ad apparire una scommessa dalla vincita sempre meno evidente.

Certo, a contare è sempre di più la presenza di un Mercato; della possibilità per gli operatori economici del settore di accedere nel tempo più breve e redditizio alla sostanza non di certo prioritariamente artistica del prodotto. Questo garantisce alla saggia intuizione di chi ha previsto a tempo la formidabile logistica di un festival come Cannes una resistenza ad oltranza della manifestazione. E condanna parimenti una Mostra come quella di Venezia a vivere sulla rendita di valori carismatici ahimè sempre più evanescenti: minata com'è da strutture di accoglienza praticamente impossibili da adattare ai tempi che corrono.

A questo punto, il pesciolino Locarno è in grado di giocare delle carte che anche i pescecani gli invidiano: uno spazio di proiezione dal fascino incomparabile, delle strutture pur sempre perfettibili nel tempo, l'accessibilità ad un pubblico giovane e generoso, delle date che favoriscono la regolarità dell'appuntamento vacanziero e l'indulgenza del rilassamento estivo. Insomma, la possibilità di farne il festival più popolare in circolazione. Non è facile: ma nel contesto attuale quello svizzero ha la possibilità di continuare ( o ritornare…) ad essere lo spazio di scoperta (e di sorpresa che, come diceva Baudelaire, rimane il primo segreto dell'arte) che altre rassegne faticano a proporre, prigioniere come sono di altri e più materiali condizionamenti.

Forte di una solida cinefilia parigina, forse meno legato a certe partigianerie che pur contraddistinguono quella raffinata piattaforma cinematografica, ormai rodato alle identità di un Festival che risponde a delle esigenze particolari di informazione e creatività, Olivier Père sembra avere maturato una costruzione sempre più equilibrata. Se ci saranno le indispensabili scoperte è impossibile prevederlo sulla carta; ma la Piazza, l'arma più forte ma fragile a disposizione d Locarno, sembra impostata senza la casualità di certe recenti edizioni. Non solo per la presenza di un grande come Steven Soderbergh (MAGIC MIKE) ma con una riproposta da Cannes di due francesi dalle notevoli qualità da approfondire, Noémie Lvovsky, che ha chiuso con successo la Quinzaine ( CAMILLE REDOUBLE) e Stéphane Brizé (QUELQUES HEURES DE PRINTEMPS), autore in passato di prove eccellenti, come MADEMOISELLE CHAMBON e JE NE SUIS PAS LA POUR ETRE AIME'. Quella del cileno Pablo Larrain (NO) è una scelta coraggiosa, il suo POST MORTEM essendo stato una delle proposte più coerenti di Venezia 2010. L'australiana Cate Shortland (LORE) aveva debuttato molto bene a Cannes nel 2004 con SOMMERSAULT, mentre la coppia di ex videoclipper Jonathan Dayton e Valerie Faris (RUBY SPARKS) è addirittura quella del successo travolgente di pubblico e critica valso a LITTLE MISS SUNSHINE. Non da ultimi, Markus Imhof (MORE THAN HONEY) e il Michael Steiner (DAS MISSEN MASSAKER) del fortunatissimo GROUNDING sono fra i valori più sicuri del cinema nazionale.

Dal Concorso e da Cineasti del Presente attendiamo le rivelazioni. Ma l'imponente Retrospettiva ci ricorda che con tanti capolavori di Otto Preminger ci siamo fatti le ossa. Mentre la presenza di qualificati Giurati oltre che di (forse eccessivi) medagliati da onorificenze più o meno valide assicura la proiezione di molte opere d'interesse: quelle della giapponese Naomi Kawase, dello srilankese Jayasundara, dell'impareggiabile Johnnie To, dell'attualissimo thailandese Weerasethakul, del coreano Im Sangsoo, dell'estroso Leos Carax, del grande africano Mahamat Saleh Haroun. O di maestri storici, per chi vuol andare proprio sul sicuro, come Risi e Visconti, Ferreri e Fuller, Aldrich o Scorsese …

(65mo Festival del film Locarno 1-11 / 8 / 2012)

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