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FESTIVAL DI LOCARNO 2012 - PRESENTAZIONE
  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 agosto 2012
 
(2012)
 
LOCARNO: CHE LA FESTA DIVENTI SEMPRE PIU' DI CINEMA

Dire di un festival di scoperte, avanzare cioè ipotesi su un incontro che non può costruirsi su dei valori sicuri e affermati (ammesso che poi questi si confermino tali) è operazione a rischio; ancora più traballante è trarne delle conclusioni quando si scrive, come in questo caso, a tre giorni dall'epilogo. Quando, oltretutto, manca la comoda scappatoia per cronisti dai serbatoi d'idee esauste: disquisire (e quasi sempre criticare) il palmarès, il sempre vituperato, poi in definitiva irrinunciabile verdetto da parte delle Giurie.

Per i frettolosi, però, una conclusione su di una Festa che ha confermato di essere una delle più popolari e inossidabili del mondo del cinema (non era scontato, visto la crisi e i prezzi alla svizzera) la si può anticipare: Locarno è in fase di progresso. Moderiamo subito l'euforia e l'autoincensamento ai quali propendiamo pure da qui allegramente: e definiamo importante il progresso che riguarda il cosiddetto e apparentemente imprescindibile glamour (dalle presenze fondamentali, in quanto legate alla programmazione e al suo spirito, a quelle francamente più pretestuose). Chiamiamolo anche consistente, per quanto riguarda finalmente l'assenza (o quasi: quel tremendo Bachelorette propinato a ottomila malcapitati&) di pellicole o di eventi che nulla avevano a che fare con un festival di cinema dalle ambizioni internazionali (succedeva, succedeva&). E' più discreto, ma costante, un certo consolidamento qualitativo delle opere proposte. A cominciare dalla Piazza, la gloriosa arma a doppia taglio di Locarno, per continuare nelle varie Competizioni, opere viste finora come Lore, Ruby Sparks, Magic Mike, Quelque heures de printemps, Camille redouble, Compliance, Image problem, Der Glanz des Tages, Mobile Home, Winter Go Away, Orleans, Inori, Wo hai you e via dicendo sono lungi da essere disprezzabili. Non è poco, ma intendiamoci. Di capolavori assoluti quest'anno non ne girano a decine nemmeno altrove: ma qualche ragione in più perché la critica e gli operatori internazionali affrontino la trasferta di mezz'agosto (pagando di tasca propria, non in quanto appartenente a un certo giro di abbonati) comincia a intravvedersi. Tenendo anche conto da quanto offre un contorno un po' disordinato ma consistente, dalla sontuosa Retrospettiva dedicata a Otto Preminger all'infinità di altre pellicole nel modo più disparato.

* *

le carte che anche i pescecani gli invidiano: uno spazio di proiezione dal fascino incomparabile, delle strutture pur sempre perfettibili nel tempo, l'accessibilità ad un pubblico giovane e generoso, delle date che favoriscono la regolarità dell'appuntamento vacanziero e l'indulgenza del rilassamento estivo. Insomma, la possibilità di farne il festival più popolare in circolazione. Non è facile: ma nel contesto attuale quello svizzero ha la possibilità di continuare ( o ritornare&) ad essere lo spazio di scoperta (e di sorpresa che, come diceva Baudelaire, rimane il primo segreto dell'arte) che altre rassegne faticano a proporre, prigioniere come sono di altri e più materiali condizionamenti.

Forte di una solida cinefilia parigina, forse meno legato a certe partigianerie che pur contraddistinguono quella raffinata piattaforma cinematografica, ormai rodato alle identità di un Festival che risponde

Poiché non si tratta di un paradosso: nella crisi che stiamo vivendo il più piccolo dei grandi festival, secondo la definizione coniata dallo storico presidente Raimondo Rezzonico, possiede i mezzi per affinare le proprie armi nei confronti dei pescecani di stazza maggiore che popolano il fin troppo esteso acquario dei festival.

Dalla sua nascita, il cinema è sempre stato uno degli specchi più fedeli e immediati della società: quello attuale (che ormai andrebbe definito degli audiovisivi) non può quindi che riprodurne i disagi sempre più evidenti e forse drammatici. Allo stesso modo, gli eccessi di un'offerta smodata e ormai sfuggita di mano hanno finito per condurre ad una volgarizzazione, meglio, ad una progressiva diminuzione del desiderio da parte degli esausti, assediati consumatori. Conseguenza forse irreversibile di calcoli viepiù avidi, di una sollecitazione alla facilità spiccia dell'immagine che è ormai, è il caso di dirlo, sotto gli occhi di tutti. Progressiva scomparsa delle sale (in particolare di quelle che si dedicavano al cinema d'autore), crisi nel bailamme proposto dalle televisioni generaliste a favore di fruizioni sempre più personalizzate, ma anche sempre più virtuali (la tivù a pagamento, on demand, per selezionare un minimo di qualità; ma già incombe la diffusione diretta dalla Rete). Ci spiegano che l'uso dell'immagine tenderà a ulteriormente smaterializzarsi: e già sembra diminuire l'uso di mezzi raffinati e in teoria gratificanti, quale è stato il Dvd o la recente, splendida qualità offerta dal Blu-ray.

In questo riflettersi nel cinema dello sbando generalizzato che conosciamo dovrebbero essere allora i festival, con il loro prezioso potere di aggregazione e di confronto, a costituire un'ultima spiaggia felice. Ma anche i più onnipotenti fra questi iniziano a dar segni di un'usura dovuta a formule pure loro consunte. Affidarsi in gran parte a Grandi Nomi presunti o effettivi (che arrischiano di corrispondere a eterni abbonati sempre più spesso in prudente ripetizione di universi espressivi collaudati e facilmente riconoscibili) come ha fatto di recente Cannes e si appresta a fare Venezia inizia ad apparire una scommessa dalla vincita sempre meno evidente.

Certo, a contare è sempre di più la presenza di un Mercato; della possibilità per gli operatori economici del settore di accedere nel tempo più breve e redditizio alla sostanza non di certo prioritariamente artistica del prodotto. Questmidabile logistica di un festival come Cannes una resistenza ad oltranza della manifestazione. E condanna parimenti una Mostra come quella di Venezia a vivere sulla rendita di valori carismatici ahimè sempre più evanescenti: minata com'è da strutture di accoglienza praticamente impossibili da adattare ai tempi che corrono.

* *

A questo punto, il pesciolino Locarno è in grado di giocare dela delle esigenze particolari di informazione e creatività, Olivier Père sembra avere maturato una costruzione più equilibrata. Scoperte è una parola grossa: ma titoli come quelli sopra aprono confini a sviluppi ulteriori. Piazza Grande, l'arma più forte ma fragile a disposizione di Locarno, quella che nemmeno Cannes o Toronto posseggono, sembra finalmente impostata senza la casualità che aveva contraddistinto certe recenti edizioni.

Fra una settimana, su AZIONE quelle che potrebbero essere le sorprese dell'ultima ora. Oltre alle maldicenze d'uso sull'attribuzione dei Pardi dal metallo piu o meno nobile.

Per informazioni o commenti: info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch

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