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FESTIVAL DI CANNES 2011 - MALICK, MA NON SOLO, KAURISMAKI, DARDENNE, MORETTI, RAMSEY, MAIWENN, KAWASE, REFN, ALMODOVAR, VAN SANT, VON TRIER, LEIGH
  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 maggio 2011
 
(2011)
 

A due giorni e qualche pellicola dal termine di Cannes è doveroso dedicare spazio all'avvenimento che il mondo del cinema attendeva da anni ; anche perché The Tree of Life è uscito puntualmente anche sui nostri schermi. Non si tratta però di trascurare le molte opere valide che hanno contraddistinto un'edizione particolarmente ricca del più importante festival di cinema al mondo. Ritorneremo cosi fra una settimana sui film nel frattempo palmati. Come Le Havre (* * * *), dove l'immensità del cinema piccolo di Aki Kaurismaki trova una volta ancora il modo d'incantare, pur emigrando dalla sua Finlandia nel porto francese con un'attualissima favola poetica sull'immigrazione: l'urgenza dell'oggi espressa nella splendida cornice di un cinema che è stato. O come nell'ennesimo gioiello, Le gamin au vélo (* * * *), dei fratelli belgi Dardenne: favola costruita sulla loro inimitabile energia cinetica, di un cappuccetto rosso scatenato sulla sua bici, che non si rassegna all'abbandono del padre, con tanto di fata Cécile de France e minaccia da lupo. In un ritratto incredibilmente realista, vero e semplice, mai melodrammatico, emozionante e mai sentimentale. Passando da uno dei migliori Moretti, Habemus Papam (* * * *), del quale abbiamo già detto, a We need to talk about Kevin (* * *) dell'inglese Lynne Ramsey un'altra opera dura, uno sguardo originale su uno dei temi che hanno dominato il festival, le relazioni all'interno della famiglia. E, ancora, la francese Maiwenn dalla quale si attendeva solo qualcosa di dilettevole e che al contrario organizza in Polisse (* * *) esemplari atmosfere corali all'interno della Squadra dei delitti contro i Minori. Poi (quando ancora mancano Sorrentino, Ceylan o Mihaileanu) la conferma di Naomi Kawase, a che lei come Malick ma immersa nello shintoismo giapponese con il delicato Hanezu (* * *), agli antipodi un film d'azione che diventa eccitante esercizio di stile come il danese che ha girato negli USA Drive (* * *) Nicolas Winding Refn. Infine, qualche maestro che ha dato prova di esperienza, ma senza innovare granché. L'Almodovar di La piel que habito (* *), chirugia estetica a sensazione, ma sulle tracce già percorse da David Cronenberg, il Gus Van Sant al Certain Regard, con un Restless (* *) sensibilissimo ma meno trascendente dei suoi favolosi precedenti. E, infine, i tonfi più o meno prevedibili, come il Lars Von Trier di Melancholia (*) , dissertazione per qualche tempo elegante su un pianeta che sta arrivandoci addosso, l'australiano sponsorizzato da Jane Campion Sleeping Beauty (*) dell'esordiente Julia Leigh, gli inutili e impotenti Michael dall'Austria e Footnote da Israele. Me per non vendere le pelli degli orsi da Croisette, meglio risentirci a giochi fatti. ===================================================================

* * * (*) THE TREE OF LIFE , di Terrence Malick, con Brad Pitt, Jessica Chastain, Sean Penn, Fiona Shaw (Stati Uniti 2011) The Tree of Life è un film diverso, di una bellezza rara, di una unicità indubbia e, pure di un'ambizione smisurata. Eccolo infine, dopo anni di attesa, accolto con una certa dose di smarrimento, da applausi ma anche da fischi. E' un buon segno: poiché che si tratta delle stesse reazioni riservate a suo tempo alle cose destinate a sorprendere e restare, da L'avventura a La dolce vita, a Apocalypse Now, quando la Croisette ancora reagiva non ancora rincitrullita dai tappeti rossi. E' una buona notizia: Terrence Malick, dopo la scomparsa di Stanley Kubrick, è rimasto l'ultimo di quei reclusi nel proprio genio che hanno segnato la storia del cinema. Ovviamente irreperibile in questa fiera delle vanità, immerso nel proprio singolare tragitto, inaccessibile da sempre ai media, misterioso e ormai leggendario, il laureato di Harward ed ex insegnante di filosofia si conferma autore incomparabile di sempre più radicali riflessioni visionarie. A The Tree of Life, prima ancora di addentrarci nella sua ipnotica energia poetica, dobbiamo un immenso rispetto: per un rapporto con il cinema cosi lontano dalla volgarità delle leggi imperanti. Certo, questa dimensione mitica permette a Malick l'impossibile: anni di lavorazione, uno dedicato agli effetti speciali, due al montaggio; e diecimila audizioni per scegliere i tre ragazzini che occupano la parte del film dedicata alla famiglia. Non che il regista speculi su quei privilegi: al contrario, affina il proprio discorso, forse a dismisura, al confine di tutti i rischi espressivi. Viepiù dedicati alla straordinaria trascendenza delle immagini, a quel suo modo unico di captare le risonanze più misteriose e vere dell'istante presente, di evolvere da una fisicità infinitamente sensuale alla spiritualità e al misticismo. A risolvere, in equilibrio sui tre elementi naturali (il fuoco, l'acqua e la terra, che ritornano anche qui incessantemente) l'ipotesi fantastica che unisce la nostra condizione umana a quella cosmica: ricercare un Eden, prima che questi si trasformi in Paradiso delle illusioni perdute. Fino a La sottile linea rossa (1998) a Il nuovo mondo (2005) questo viaggio di prepotente fascino poetico tra l'Uomo e la Natura era suggerito (a tutto vantaggio dell'esploratore che si nasconde in ogni spettatore) in filigrana; a monte della battaglia di Guadalcanal nel primo, o della scoperta dell'America di Pocahontas nel secondo. Ora è divenuto, in un azzardo ancora più clamoroso, l'elemento portante e (fin troppo?) dichiarato di The Tree of Life. Cosi, l'esposizione dei due mondi si è fatta tanto esplicita da spaccare il film in due parti. Quella iniziale, e la conclusiva un po' ovviamente New Age : alla ricerca delle più misteriose vibrazioni provocate dal racconto che seguirà, delle loro motivazioni, fino all'alba del pianeta, in un arco di miliardi di anni dal Big Bang ai dinosauri, dagli anfibi ai rettili, all'infinitamente piccolo ormai a conoscenza di un mondo forse in via di perdizione. Malick, che inizia citando il Libro di Giobbe, traduce allora queste sue riflessioni scientifiche, filosofiche e (dove fatichiamo più a seguirlo) mistiche o religiose con immagini fantastiche e corali allusive. Nate in parte, e non a caso, dal mano di un sommo veterano come il designer Douglas Trumbull di 2001 Odissea dello spazio e di Blade Runner ; in altre, da spettacolari ma forse più prosaiche alla National Geographic. E' solo dopo 55 minuti di questo magma che entriamo nel nucleo della narrazione, nella piccola famiglia del Midwest che costituirà l'altro polo del film: nei rapporti fra il padre autoritario anche perché frustrato (Brad Pitt, perfetto), una madre dolce anche perché sottomessa (grande rivelazione, Jessica Chastain) e tre indimenticabili ragazzini. Sono due parti complementari, discusse, e probabilmente dotate dell'interdipendenza sottintesa dal titolo: ma questa centrale, nella sua efficacia impressionistica, nella sua fremente vibrazione è di una bellezza indicibile. Poche volte il cinema è penetrato con tanta verità e poesia all'interno delle gioie e dei dolori della famiglia, della difficoltà di educare o di divenire adulti. Con la sola potenza dell'immagine, praticamene senza dialoghi, in continua osmosi con l'ordine naturale che avvolge come il vento fra le fronde, come i legami misteriosi che legano gli esseri umani, i rapporti con i genitori, fra i fratelli, gli atti che ne derivano. Con tanta meraviglia espressiva da obbligare ogni spettatore a riconoscersi, dalle carezze al neonato, alle grida, ai sussulti, ai giochi fra ragazzi, alle punizioni, le esaltazioni, le consolazioni, i sassi buttati nello stagno e quelli per infrangere i vetri. La repressione e l'amore, la gelosia e l'emulazione, la rivolta e la trasgressione; la fatica e la gioia di ciô che definiamo vivere. Affresco esistenziale immenso, nel dire tutto, dall'infinitamente grande dell'ordine comico all'infinitamente piccolo dell'io. Un arco forse troppo ambizioso anche per Terrence Malick; ma perché dolerci, in questi tempi, di tanta grandezza?

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