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FESTIVAL DI CANNES 2011 - CON WOODY ALLEN E NANNI MORETTI AL MEGLIO - UN INIZIO CON IL BOTTO
  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 maggio 2011
 
(2011)
 

La solita Cannes, il solito Woody Allen? Averne& Midnight in Paris inizia come l'affettuoso omaggio alla Ville Lumière che voleva essere, ma non come gli eterni iettatori andavano predicendo: una serie di cartoline degli angoli più frequentati dal turista, accompagnati da una melodia piccola tra il dixie e Sidney Bechet di quelle immancabilmente predilette. Solo che l'omino magico al suo quarantaduesimo film (!) da quel 1969 di Prendi i soldi e scappa ha cavato l'ennesima meraviglia dal suo cappello a cilindro. Esattamente l'incredibile fertilità di un film all'anno, da parte di un genio dell'arte cinematografica (è bene ripeterlo, per gli schizzinosi) che stravolge in irresistibile, raffinata comicità dapprima, quindi in delicata, preziosissima riflessione filosofica il suo schemino a prima vista tradizionale: i fidanzati glamour americani alle spese nei cinque stelle di micidiali suoceri da Tea Party repubblicano. Lui, con l'ambizione di ricalcare i favolosi destini degli scrittori degli Anni Venti piuttosto che i frettolosi successi dello sceneggiatore hollywoodiano; lei che tra uno shopping e l'altro ritrova un ammiratore saccente dei tempi del college. Satira del conformismo presente, nostalgia di una fantasia trascorsa? Togliamocelo subito dalla testa, mentre ci sentiamo avvolgere progressivamente da una grazia (quei dialoghi immancabilmente deliziosi, quella sceneggiatura che, senza averne mai l'aria, ci conduce imperiosamente e poeticamente per mano) che sa tanto di La rosa purpurea del Cairo. Perché Woody, pur dimostrandosi ansioso di frequentare impegni inediti, compie quello che squisitamente gli riesce: penetrare dall'altra parte dello specchio, dalla realtà al sogno. Dalla ragione della leggera sbronza nella serata in libera uscita parigina alla fantasia. Gil viaggia nel tempo all'incontro degli eroi di quell'epoca agognata. Sono tutti, e cosi tanti da far temere il peggio, Scott e Zelda Fitzgerald che gli presentano Hemingway, Gertrud Stein, Picasso, Dali: servito da quei soliti attori straordinari che immancabilmente si mettono a sua disposizione, Allen ne fa una galleria d'incontri di una leggerezza straordinaria, a mille miglia dalla caricatura, nella libertà totale di un piacere che è impossibile non condividere. Ma non solo. Ennesima sorpresa di un'opera che si supponeva prevedibile, da Midnight in Paris nasce un ulteriore sberleffo che si fa riflessione: lungi dal godersi quel presunto periodo di favola tutti quei maestri del Novecento hanno come unico rimpianto quello di non essere vissuti nell'epoca precedente. Eccoci, allora, con i Gauguin, Lautrec, Degas della Belle Epoque: ma, una volta ancora non per solo, seppur raffinato spasso. Per entrare nel tema semiserio e infinitamente prezioso di un racconto che, inoltrandosi giocosamente nel passato, sembra allontanarsi sempre di più da un presente mal vissuto. Midnight in Paris ci ricama sopra con il genio e il diletto di sempre: ma dicendoci di cambiare il modo di vivere il presente, piuttosto che di rimpiangere il passato. * * * Accostata alla maestria alleniana, era forse azzardato aprire la Competizione con l'opera prima australiana sponsorizzata dalla grande Jane Campion, Sleeping Beauty. Non che sfuggano le ragioni dell'interesse per l'esordiente Julia Leigh da parte dell'autrice di Lezioni di piano. Nel loro modo di far cinema c'è la medesima ricerca di un soggetto femminile forte, l'incontro con un attrice che regga il confronto, la volontà di esprimere l'intimità più sconvolgente grazie alla raffinatezza dello stile, la forza nel creare un'atmosfera all'interno di un ambiente curato quasi maniacalmente. Ma la vicenda, a tratti dichiaratamente osé, della studentessa occupata a sfruttare (più per noncuranza che per lucro) il proprio corpo di Bella Addormentata affetta da lolitismo ha il torto di appoggiarsi fin troppo preziosamente ai richiami di tanti Bunuel oltre che del Kubrick di Eyes Wide Shut. Ma di ripetersi su una sceneggiatura che fatica ad evolvere, fino al disinteresse del più malizioso degli spettatori. ================================================= FILMSELEZIONE * * * * Habemus Papam, di Nanni Moretti, con Michel Piccoli, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Margherita Buy, Franco Graziosi, Camillo Milli, Teco Celio (Italia 2011) Non date ascolto a chi vi dice che si tratta "soltanto" di un film da ridere; a chi vi parla, magari, di un allegro, disinvolto, ma in definitiva un po' vano compendio di trovate, gesti, espressioni del tradizionale patrimonio morettiano. Riesumate ad uso e consumo delle sue legioni di fedelissimi, da sempre tenuti in appetenza da una produzione saggiamente parca. Diffidate, più ancora, da chi denunciasse irriverenze da anticlericalismo goliardico, dissacrazioni spuntate da un uso ormai disinvolto. O, peggio ancora, scoperti, volgari riferimenti alla conduzione attuale, o agli scandali che l'hanno più che sfiorata di recente. Godetevi, invece, un film miracolosamente agli antipodi di quel genere di tranelli. Girato da Nanni Moretti cinque anni dopo quel Il caimano tanto più sdegnato da essere accolto con perplessità; e rivelatosi, in seguito, terribilmente profetico. Perché Habemus Papam è prima di ogni altra cosa di un equilibrio, di una misura insperata che nasce da una sceneggiatura impeccabile, da una regia mai esibita, da una scelta e direzione di attori a dir poco adeguata (prima fra tutti, naturalmente, l'umanità indimenticabile della fragilità di Michel Piccoli; ma poi il disincanto delicato di un Moretti mai dilagante, dei comprimari del peso di Jerzy Stuhr, il portavoce del Vaticano). Un'intuizione morettina luminosa d'intelligenza e di felicità inventiva come forse mai, nemmeno nei capolavori dell'autore di La messa è finita (per rimanere nel clericale) o di Palombella rossa (per riferirsi ad una compiutezza espressiva ineguagliata) era mai stata. Com'è ormai noto, è la storia di un Papa che all'istante dell'investitura si considera inadeguato. Di una figura gentile (in un film improntato alla gentilezza, spesso ad una quasi commossa tenerezza) che, nel proprio disorientamento, sembra chiedersi quanto, della propria elezione, sia stata opera di Dio piuttosto che del gruppo assai più bonariamente pasticcione dei suoi colleghi. E' un figura sollecitata dal Divino, che s'interroga sui propri limiti di Umano, di individuo al quale viene proposto il massimo dei poteri ottenibili sulla terra. In una sua indicibile solitudine (dietro le tende del balcone scosse dal vento, che lo celano alla moltitudine in attesa su Piazza San Pietro; e che costituiscono un motivo estetico ricorrente): in una sorta di terra di nessuno fra l'essere papa o uomo qualunque, nell'angoscia, quindi nel terrore di compere un uso di quel potere che non sia all'altezza del ruolo assegnatoli dal destino. Certo, è una storia narrata da un laico, probabilmente da uno scettico: ma guidata da uno sguardo (spesso divertito, a tratti riflessivo) non soltanto lucido, ma sempre comprensivo fino alla commozione, ispirato fino alla poesia. Com'è nelle sue corde più alte, Nanni Moretti riesce a renderla al tempo stessa fantastica e reale, burlona e mistica, esilarante e riflessiva. Cosi, dalle ormai celebri sequenze dei cardinali che trascorrono il tempo giocando a pallavolo dopo aver maliziosamente occhieggiato sul foglio del vicino durante il conclave, l'idea diventa quella di far uscire l'immenso Michel Piccoli fra la gente, in abiti laici. Non tanto per occhieggiare ai passanti che attendono l'investitura: ma per confrontarsi a quella che sarebbe stata la sua vocazione da laico, il teatro. Inseguito da funzionari e addetti alla sicurezza s'imbatte in uno gruppo di modesti teatranti. E sarà allora l'incontro, la sorpresa di un secondo tema che rilancerà significati ulteriori: fra due recitazioni, certo di diverso peso, ma entrambe fallibili, quando devono confrontarsi al teatro della vita. Due ruoli da interpretare, ma con uno che comporta l'onere di condurre al Dio: infine premiato nella splendida sequenza conclusiva, con tutti i componenti della recita, gli inseguitori vaticani, gli attori sulla scena e il pubblico in platea che si rivolgono grati e plaudenti a quel Papa in abiti civili ancora confuso fra di loro.

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