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IO SONO L'AMORE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 gennaio 2011
 
di Luca Guadagnino, con Tilda Swinton, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Pippo Delbono, Alba Rohrwacher, Maria Paiato, Gabriele Ferzetti, Marisa Berenson, Diane Fleri (Italia, 2010)
 
Oggetto particolare, perlomeno all'interno non proprio esaltante del cinema italiano che sappiamo. Un esercizio ambizioso e contraddittorio: indubbiamente talentuoso quanto, a tratti, insopportabilmente auto-compiaciuto. Ma, non fosse che per queste ragioni, degno di una certa attenzione.

Quasi curiosamente, del film di Luca Guadagnino regista dai trascorsi non sempre esaltanti come nel caso di MELISSA P., se ne è parlato in modo esponenziale dopo la partecipazione incolore alla Mostra di Venezia 2009. Complice la successiva partecipazione al Sundace e sopratutto il clamoroso successo del film (nelle proporzioni riservate al cinema europeo negli States) nelle sale e presso la critica anglosassone. Complice, conseguenza più o meno inevitabile, la contestazione in questi giorni del regista stesso: “ A rappresentare l'Italia agli Oscar la commissione ha scelto LA PRIMA COSA BELLA di Paolo Virzi: ma è convinta di aver fatto la cosa giusta? Il mio film ha incassato 5 milioni di dollari negli Stati Uniti, terzo film di lingua non inglese, trenta premi e una nomination ai Golden Globes…”

Ditirambici, New York Times e compagni hanno in effetti parlato di Luchino Visconti. Forse perché si tratta di una storia milanese, ambientata nella cornice esteticamente sontuosa della ricca borghesia, a pochi passi da dove ha vissuto il grande maestro.

Ci andrei un po' più piano, addentrandoci nella vicenda dalla sceneggiatura inconcludente di una Tilda Swinton (al solito magistrale, anche se condizionata da un accento russo che toglie pur sempre qualcosa al suo meraviglioso aplomb "british") assolutamente incandescente, relativamente (come si vedrà) remissiva sotto la patina glaciale impostagli dal ruolo di moglie importata dell'erede di una lunga dinastia d'industriali tessili, ora minacciati dalla mondializzazione.

Dall'ipocrisia milanese, avvolta soavemente nella neve che sfiora la guglie del duomo, all'erotismo solare della Liguria, dove la signora raggiungerà l'unico maschio in circolazione con la testa sulle spalle ma lo stato sociale di cuoco di famiglia, l'ambizione formale, e anche la facilità espressiva di Luca Guadagnino avranno molte occasioni di esprimersi. Troppe. Perché è solo nella misura, dei vuoti, dei silenzi, delle rinunce al pathos totale che l'esuberanza più entusiasta può trovare una sua ragione. E una sua efficacia. Qui, quando la spettacolare macro osservazione dei pori epidermici degli amanti si dilata nell'esplosione bucolica dei pollini associata alla copula degli insetti, quando le succulente coreografie gastronomiche dai gamberi in salsa scorticati con languore dalla forchetta promuovono (non è proprio nuova) l'associazione con la sensualità infine liberata della signora, il rischio è di sconfinare, se non nei risolini, perlomeno nell'indigestione.

Raffinato nelle immagini, grandiloquente nel messaggio o nelle musiche, disordinato nella sceneggiatura o nel montaggio IO SONO L'AMORE testimonia del talento del cuoco; e della sua ingordigia. Fra le due cose, occorre sapere scegliere.


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