Non c'è molto da meravigliarsi. Più che con Pedro Almodovar, che gli ha fatto a lungo da padrino nel cinema spagnolo, il debito della filiazione di De la Iglesia è altissimo con la follia iconoclasta del pulp tarantiniano. E constatare come nello spagnolo la trasgressione sia ben più eclatante di quella dell'autore di KILL BILL la dice lunga sul film. Che ha momenti (l'inizio, titoli di testa compresi, è assolutamente strepitoso) d'indubbia ispirazione. E di originalità; cosa non da tutti giorni nell'universo formattato del cinema contemporaneo. Mentre altre tentazioni sembrano invece rispondere ad una quasi ovvia scrittura sopra le righe, che non è facile stabilire quanto coerente con il soggetto.

Nella storia con la maiuscola, dalla Guerra Civile alla fine del franchismo (in una delle scene forti del film il goffo protagonista azzanna furiosamente la mano che gli porge il Caudillo...), quella con la minuscola del film vede il clown triste della tradizione confrontarsi (meglio, massacrarsi) con il clown comico. Sopratutto, tentare di sottrargli la bella, e regolarmente maltrattata fidanzata acrobata. Esempio estremo della grande tradizione ispanica per il grottesco, con un finale nel delirante memoriale di Franco che permette citazioni hitchockiane di VERTIGO piuttosto che della celebre scalata di NORTH BY NORTHWEST, il film avvince o respinge. Ma non lascia di certo indifferenti, nel solco esasperato di certi mostri cari a Tim Burton .