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IL CIGNO NERO
(BLACK SWAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 febbraio 2011
 
di Darren Aronofsky, con Nathalie Portman, Mila Kunis, Vincent Kassel, Barbara Hershey, Winona Ryder (Stati Uniti, 2010)
 
Massacrati, se davvero vuoi farcela; minimo, violenta la tua propria natura, fino a morirne. È la tesi di Darren Aronofsky, cineasta sul quale sono molti a contare attualmente come l'erede di un cinema dell'assoluto che si va perdendo, capace di andare contro le convenzioni etiche e quindi consumistiche della nostra epoca (ma interessante diventa allora l'attuale successo popolare del film negli Stati Uniti): un procedimento che il regista ha il coraggio, o la presunzione a seconda dei punti di vista, di condurre a fondo, anche fisicamente.

La tesi valeva per il cinquantenne a pezzi, l'incerottato Randy l'Ariete, ex campione di lotta di THE WRESTLER; deciso all'automutilazione pur di farsi ancora ingaggiare da impresari di terza categoria e riconquistare la fiducia di una figlia dimenticata. Trascendere grazie agli eccessi nella sofferenza, scavare a fondo nel buco nero della propria psiche dovrebbe essere egualmente inevitabile per raggiungere la perfezione nell'universo apparentemente più leggiadro del balletto; e affermarsi cosi come prima stella fra le silfidi del Lago dei Cigni. Anche se Carla Fracci, che era in platea a Venezia dove IL CIGNO NERO inaugurava la Mostra dopo che il suo predecessore aveva addirittura conquistato l'oro due anni prima, l'ha subito definita una conclusione risibile.

Alla povera Nina, stella incontrastata nel ruolo del Cigno Bianco non rimane comunque che affrontare il lato più oscuro del proprio doppio, a liberarsi da ogni freno (innanzitutto, inutile dirlo, sessuale; grazie a solitarie terapie fra le lenzuola e a dispetto di un'invadente madre origliante), a dare libero sfogo alla violenza repressa in sé stessa per riuscire ad affermarsi egualmente nel ruolo più tenebroso del Cigno Nero.

Significa andare a nozze, per un regista che adora specchiare nei corpi martoriati le turbe dell'animo dei propri personaggi. E Aronofsky, che è indubbiamente fine manipolatore d'immagini cinematografiche, mette in contrasto con una sua dose di seduzione unghie, contusioni e piaghe variamente martoriate con il raffinato equilibrio classico e psicanalitico del capolavoro di Ciajkovskij. Da prova sicuramente di audacia, anche se pericolosamente ai confini della credibilità e magari del ridicolo. Ma Natalie Portman (pur adeguatamente maltrattata da garantirsi l'Oscar annunciato) non è Mickey Rourke; che quell'anelito di redenzione se lo portava dentro ogni giorno nella vita. E un regista del corpo di ballo come Vincent Cassel stenta a infondere la propria dose di perversione, oltre che una improbabile carica di desiderio eterosessuale; e la madre divoratrice, che traduce le proprie frustrazioni circondando la protagonista di pupazzi e ninnoli, infonde al film il sospetto di metafore e sottolineature largamente prevedibili.

A BLACK SWAN manca insomma quello spazio all'immaginario che, sotto la vernice melodrammatica del capolavoro sul balletto di Powell e Pressburger, SCARPETTE ROSSE, rendeva accettabile l'idea che, per la sublimazione totale nell'Arte, valga anche la pena di morire. Ma, per la gioia dei produttori di una Hollywood in crisi, non è certo il caso di guardare troppo per il sottile.


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