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GORBACIOF Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 gennaio 2011
 
di Stefano Incerti, con Toni Servillo, Yang Mi, Geppy Geijeses, Gaetano Bruno, Hal Yamanouchi (Italia, 2010)
 
Gli alti e bassi della carriera di Stefano Incerti l'avevano condotto anche al festival locarnese, con PRIMA DEL TRAMONTO, quando si era tentata l'idea stimolante del Concorso sulla Piazza, in seguito abbandonata per endemico quieto vivere. E già in quel 1999 di lui dicevamo di “qualcuno che l'occhio da dietro alla cinepresa sa esattamente dove posarlo; ma è la sceneggiatura - madre di ogni bene e più spesso di ogni disgrazia - a tradirlo.”

Poiché i vezzi giovanili di un autore ben raramente si sconfessano nel tempo, la storia tende a ripetersi. Nella vicenda - stilisticamente eccitante, non fosse che per la sua originalità all'interno del quadro italiano - di un contabile del carcere di Poggioreale che l'amore per una giovane cinese conduce dal piccolo furto al gioco e, infine, a un azzardo ancora più drammatico.

A somiglianza del proprio protagonista (trascendentale, straordinario Toni Servillo, una maschera alla De Niro dei tempi di TAXI DRIVER, la gestualità da manichino beffardo sotto la voglia che gli segna la fronte e da il titolo al film, basette impossibili e gel a profusione, la giacca strizzata sui fianchi più da bullo che da mafioso) GORBACIOF è un film dall'enfasi trascinante, e pure invadente. Praticamente muto, tutto (come si deve) giocato sull'osservazione dei comportamenti, sui suoni magnificati (le banconote ossessivamente smazzate), sull'ambiente di una Napoli sempre più orientale. Entusiasta e creativo: ma più nella figura del suo portentoso attore dal quale il film finisce per essere quasi fagocitato, che come analisi di un fenomeno sociale o politico.

Complice un finale melodrammatico dall'impossibile consuetudine, GORBACIOF finisce allora per restare nella memoria più per l'immediatezza clamorosa ma fugace di quelle sue risonanze a volte clamorose che per le riflessioni durature che una sceneggiatura più solida gli avrebbe conferito. Ma basta Toni Servillo, come no.


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