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AMERICAN GANGSTER
(AMERICAN GANGSTER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 gennaio 2008
 
di Ridley Scott, Denzel Wahington, Russell Crowe, Chiwetel Ejiofor, Josh Brolin, Armand Assante, Ted Levine (Stati Uniti, 2007)
 
Reduce dal micidiale UN'OTTIMA ANNATA dove tratteggiava la storiella (che il vostro cronista insinuava fosse gratificata dall'Associazione dei viticoltori locali previo aggiornamento vita natural durante della cantina dell'autore) di un banchiere londinese fra le popolane generosamente scollate fra i vitigni del Luberon, Ridley Scott stravolge a dir poco le proprie ambizioni. Filmando uno di quei polizieschi che vogliono essere nel contempo un affresco - somma di un'epoca, l'America degli Anni Settanta, riportando così immediatamente alla mente certe cadenze de IL PADRINO, SCARFACE o SERPICO, con la loro volontà di unire al senso dello spettacolo l'analisi in profondità di certi malesseri storici della società americana. Sobbalzo per niente sorprendente quello di AMERICAN GANGSTER: il regista britannico trapiantato alla corte hollywoodiana è stato fra quelli di più consumata perizia nella propria generazione, come dei più discontinui. Brillantissima e talora ispirata faccia tosta espressiva, capace dopo i tempi mitici degli ALIEN e BLADE RUNNER di svicolare da impennate imperiose come THELMA & LOUISE, BLACK HAWK DOWN, IL GLADIATORE, HANNIBAL o IL GENIO DELLA TRUFFA a bufale scoraggianti genere LEGEND, 1492 LA SCOPERTA DEL PARADISO, SOLDATO JANE, o LE CROCIATE.

AMERICAN GANGSTER non è allora soltanto il ritratto (autentico) di un imprenditore di genio (chiamiamolo così) dell'industria del vizio; che, in piena guerra del Vietnam e relativi crucci, trova il sistema, a dispetto dalle imperanti cosche mafiose italiane piuttosto che russe, di procurarsi in Thailandia la droga più pura da rimettere oltretutto in circolazione ai prezzi più competitivi del mercato. Ma il film dovrà obbligatoriamente costruirsi anche su colui che dovrà costituirne l'antitesi drammaturgica: il polo opposto di un Bene che si oppone in tutta ambiguità (ed è una delle caratteristiche, forse dei limiti del discorso di un regista che ha sempre un po' pasticciato con le ideologie) ad un Male rappresentato come relativo se non proprio legittimo: il poliziotto integerrimo che, a dispetto dell'ostracismo dei colleghi clamorosamente corrotti che gli stanno attorno, si vedrà finalmente conferito l'incarico di combattere l'andazzo.

L'industriale del vizio Frank Lucas (al quale Denzel Washington conferisce un'adeguatissima, distaccata impenetrabilità psicologica) è un assassino brutale: ma, nella grande tradizione dei Padrini, rende del tutto incerti i confini fra la degenerazione psicopatica del killer, la condiscendenza caritatevole nei confronti del popolino, il sostegno di riferimento al solito imponente gregge familiare da accompagnare alla Messa e la razionalità dell'imprenditore in inappuntabile giacca e cravatta. Egualmente, un Russell Crowe piuttosto utilmente sfatto arrischia la pelle all'interno della polizia di Manhattan che si vede sfuggire a causa della sua onestà il vitello d'oro. L'ispettore Richie Roberts è il solo "ciolla" a riportare integralmente in centrale il milione di dollari sequestrato ai gangster; ma, contrariamente al suo criminale antagonista, vede il proprio privato andare in malora.

Questa è l'America, bella; sembra parafrasare Ridley Scott. Che sulle malversazioni della polizia, oltre che quelle di una piuttosto inedita complicità dell'Armata, fornisce non poco materiale d'interesse. Il guaio è che tutte queste informazioni le fornisce a modo suo. Con un indiscutibile magistero espressivo: fatto di un montaggio dalle ellissi trascinanti (Pietro Scalia), qualità della fotografia, costumi, scenografie, secondi ruoli, tutto all'altezza dei capolavori del genere. Ma un altrettanto macroscopico innamoramento di sé stesso; e di un genere, affrontato sopratutto per il sapore della scorza. Paradossalmente, ma non troppo, se l'assenza di uno sguardo registico finisce per mortificare qualsiasi soggetto e sceneggiatura, anche il suo debordare conduce alle medesime conseguenze. Che sono quelle di ammirare il giocattolo, ma non sempre la mano e le intenzioni di chi lo sta manovrando.


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