Nella spaventosa guerra civile con la Liberia del 1999 un trafficante d'armi (Leonardo Di Caprio, bravamente convinto) tenta con ogni mezzo di ritrovare un enorme diamante rosa nascosto da un povero pescatore costretto ai lavori forzati dalle presunte e famigerate armate rivoluzionarie. Poiché ci si mette di mezzo pure una giornalista americana che sta tentando di denunciare i misfatti delle soprannazionali diamantifere ne nasce un lungo viaggio attraverso la giungla dei serpenti e quella dei conflitti genocidi dei quali l'Occidente ha sentito parlare vagamente che non può che ripercorrere le tappe care al cinema di avventura hollywoodiano, scene di azione professionalmente ricostruite, colpi di scena e parentesi sentimentali , slanci redentori e umanesimo ovviamente fast food.

Certo, marciavamo di più in tempi meno smaliziati persino ai Clarck Gable e Ava Gardner nella giungla di MOGAMBO. Rimane il fatto che grazie all'eterno richiamo dello star system, al coinvolgimento sempre efficace indotto dalla fiction cinematografica, al circuito coinvolto da un film come BLOOD DIAMOND alcuni degli aspetti più scandalosi e tragici del nostro tempo raggiungono una platea altrimenti comodamente ignara. Che quello sfondo, nel quale si sono numericamente accostati esterni dei luoghi originali ad altri girati in Mozambico e in Africa del Sud, confusa Freetown alle bidonville di Maputo conduce ad un amalgama forse artificioso: ma che riflette a tratti efficacemente la vergogna dell'allucinante melting pot africano.