Ciad, 2006, il governo concede l'amnistia a tutti i protagonisti della guerra civile, criminali compresi. Il nonno del sedicenne ragazzo di campagna gli consegna invece una pistola. Dovrà recarsi in città ed eliminare l'assassino di suo padre. Ma nella capitale N'Djamena Atim scoprirà un uomo diverso da quanto si aspettava.In apparenza, il tema della vendetta, l'altrettanto tradizionale confronto fra la vittima e l'aguzzino. Soltanto lo schema abituale del rovesciamento dei ruoli che il cinema ha spesso indagato, e anche con profitto? Quello che è certo è che di cinema, nella semplicità della sua progressione, DARATT (Premio Speciale della Giuria alla Mostra di Venezia 2006) diventa invece una lezione tanto formidabile quanto imprevedibile. Con quattro soldi, senza limitarsi ad entrare nella facilità della sempre proficua commedia all'africana, il pupillo di Abderrahmane Sissako concentra l'azione in uno spazio semplice ma essenziale, sempre più significativo: il cortile del fornaio che funge da vittima.
Teatro minimo, all'interno del quale i sentimenti si chiariscono, le emozioni si fanno riflessione, i significati assumono un peso ben più vasto delle parole, dei dialoghi abbandonati. Stilizzato, reso quasi astratto (il finale straordinario nel deserto) il dramma si concentra nella gestualità dei personaggi, nel taglio degli sguardi, su quanto l'intimità dei personaggi finisce per essere svelata dalla loro apparenza.
Grazie alla forza di uno sguardo registico splendidamente posseduto, la realtà del quotidiano più umile trascende in una riflessione su dei valori eterni. Così che vendetta, come perdono sfumano poeticamente e dialetticamente (assai meno cristianamente, assai più prosaicamente) in una dignità nata dall'esperienza di vita.