CASINO ROYALE (CASINO ROYALE) |
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di Martin Campbell, con Daniel Craig, Eva Green, Mads Mikkelsen, Judy Dench, Giancarlo Giannini
(Stati Uniti,Gran Bretagna, 2006)
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Un nuovo James Bond? Questa volta è fatta: dalla prima sequenza del film, un feroce flashback in bianco e nero con l'inedito 007 trasformato in killer, dal tono del solito generico brillante, un filo grafico di sangue sulla sigla musicale, poche donnine, appare evidente che nulla sarà come prima dopo questa ventunesima (!) versione della celeberrima serie. Anche se a dire il vero, un CASINO ROYALE c'era già stato: nel 1967, una parodia firmata da un gruppo di buontemponi che ancora non si immaginava cosa stava per mettersi in moto, interpretata da un cast stellare comprendente addirittura Orson Welles, David Niven, Ursula Andress, Peter Sellers, Belmondo, Bisset, O'Toole
Ma l'inventore della saga, il produttore Albert Broccoli, non era mai riuscito a procurarsi i diritti del primo romanzo di Ian Fleming. Cosi, questo si annuncia (promozionalmente) come il primo James Bond, la genesi dell'Eroe, la Spia che ancora non gratificavamo di Agente speciale, l'uomo d'azione sbrigativo non proprio dissimile dai cattivi che stanno dall'altra parte, giustiziere brutale (anche se già sentimentalmente vulnerabile) non ancora teleguidato dalla flemma londinese di Q e Moneypenny, già provvisto di Aston Martin ma ancora privo dei più o meno avveniristici gadget elettronici.
Operazione riuscita a metà: perché dalla progressione drammatica non proprio limpidissima non è che lo spettatore attinga informazione fondamentali sull'itinerario iniziatico del proprio eroe. E tutto finisce per ruotare attorno alla partita di poker di cui al titolo: brillantemente filmata, quanto infinitamente riproposta. Con ciò CASINO ROYALE è il miglior James Bond da tempi immemori (decidano le lettrici se comprendere quelli del mitico Sean Connery). Mascella da lacrime e sangue, sguardo blu acciaio, spalle da judoka, spietato e vulnerabile Daniel Craig sembra nato apposta per spazzar via d'un solo colpo il glamour azzimato assolutamente dimenticabile dei Roger Moore, Pierce Brosnan e Timothy Dalton. Ma se al filone è riconsegnata una fisicità dimenticata da tempo, sarebbe ingiusto dimenticare che il neozelandese Martin Campbell, autore di un notevole ZORRO nel 1998 prima di scomparire nell'anonimato hollywoodiano, è uno che ci sa fare. Dalla prima sequenza di un formidabile inseguimento sulle gru portuali del Madagascar, degna delle invenzioni cinetiche del primo Spielberg, sapientemente astratta oltre che divertita è subito evidente che di un tono nuovo si tratti. Con i tempi che corrono non è proprio un avvenimento: ma per Hollywood, che per paura del nuovo rimastica all'infinito i sequel più redditizzi è più che qualcosa.
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